24MX

Il primo Elefantentreffen

È usanza comune, tra gli “Elefanti”, narrare il primo Treffen.

Credo di non aver mai messo, davvero, mani alla memoria per raccontare il mio primo Elefantentreffen e solo alla soglia del mio “decennale” dal battesimo, ho buttato giù due righe di getto, senza la reale volontà di renderle pubbliche.

Almeno, pensavo…

Ricordo sempre con emozione quella torrida nottata d’estate, nel lontano 2010, mentre spiegavo a Dario cosa fosse l’Elefantentreffen, condito dalla mia intenzione di provare ad andarci.

Uno sguardo, un sorso di birra gelata e un sorriso beffardo sono bastati perché Dario mi dicesse: 

Vengo anch’io!

Beh, la cosa mi riempìva di gioia anche perché lui era un irriducibile t-maxista! E in quella sottile linea tra gioco e goliardia, saperlo intenzionato ad affrontare il raduno invernale per eccellenza, in moto, mi faceva anche sorridere. Ma, soprattutto, ero lieto di condividere quella squinternata esperienza con un amico fraterno.

La preparazione

Dieci anni fa il web era ancora una massa informe. Google era di là dal diventare il calderone di notizie che è oggi e Facebook era pressoché sconosciuto: figurarsi cercare gruppi e pagine dispensa consigli.

Così, i consigli, ci era toccato “rubarli” spesso chiedendo all’amico dell’amico che c’era stato o ricorrendo al passaparola e a quello che, a detta di due ragazzi inesperti, pareva buonsenso.

La scelta del mezzo è stata la prima preoccupazione, seguita a ruota dall’equipaggiamento.

Un Ténéré monocilindrico del 1992 e una BMW 650 del 2000.

Quasi per gioco e senza grandi speranze, ci siamo rivolti a Tucano Urbano chiedendo un supporto e, con grande stupore e gratitudine, l’azienda si è rivelata molto ben disposta a fornirci il materiale adatto!

L’unico ausilio tecnico e tecnologico, invero: di satellitare nemmeno a parlarne quindi, cartina alla mano, siamo partiti alla volta di… boh:

“Cum us ciema at pustazz?”   

(Come si chiama questo posto qui?).

La tabella di marcia

Il programma non prevedeva una prima sosta ben definita: nessun posto specifico perché la filosofia era “al tramonto ci si ferma”.
Le nostre moto procedevano a velocità da crociera: 110 km/h in inverno pieno ci avevano condotti a Monaco per le quattro del pomeriggio.

Così abbiamo lasciato l’autostrada alla ricerca di un hotel o di una guest house (Booking? Qualcuno ha detto… Booking?!) navigando a vista.

Sembravamo due dispersi a Betlemme la notte di Natale: la prima struttura era chiusa ma per fortuna, già nel secondo paesino, abbiamo trovato fortuna grazie all’aiuto di un ristoratore italiano.

Il freddo di un giorno di viaggio si sentiva tutto, e anche i 700km sciroppati sui monocilindrici facevano la loro parte.
Quindi doccia, cena e giretto per il paese che, come nella migliore tradizione teutonica, alle 8 di sera era completamente deserto.

L’arrivo

La mattina del venerdì siamo partiti verso le 8.30 dopo la colazione e il saldo dell’albergo che, stranamente, non ci ha mai rilasciato uno straccio di ricevuta. Perciò, a tutt’oggi, non conosco il nome del paese in cui abbiamo dormito…

Questioni fiscali a parte, imboccata la direzione ritenuta giusta, abbiamo girovagato fra campagne e colline, su strade secondarie, ad una velocità bassa ma costante che, vista la prossimità del nostro punto di arrivo, ci sembrava andare bene.

Ecco il “punto d’arrivo”…

Torniamo indietro un attimo; si dovrebbe trovare all’incirca… mah, sulla cartina sembrerebbe… così, sbagliando clamorosamente strada, ci siamo ritrovati invece a Passau: una città al confine con l’Austria e non distante dalla Repubblica Ceca.

Con fede e pazienza, abbiamo chiesto (oserei dire “elemosinato”) lumi a un benzinaio, brandendo demoralizzati la nostra cartina… La lingua ostile non aiutava, tuttavia ricevute – o recepite – delle indicazioni di massima siamo ritornati sui nostri passi alla ricerca de “la fossa” e, effettivamente, giungemmo!

Pur arrivandoci dall’altro lato, ma a mezzogiorno imboccavamo, finalmente, la via transennata dall’organizzazione che presidiava il motoraduno.

Dopo la gioia e la soddisfazione per essere arrivati, abbiamo proceduto in modo razionale, dando priorità alla ricerca del posto adatto in cui montare la tenda.

La paglia, che si compra all’ingresso, era già finita, quindi abbiamo ottimisticamente optato per piantarla sulla fredda neve, di un soleggiato venerdì di fine gennaio.

Mentre Dario si prodigava nello spianare la neve io facevo la spola con le moto parcheggiate in strada per recuperare tutto il necessario al campeggio.

La tenda…

La tenda è stata davvero una sorpresa: questa volta in nostro soccorso era intervenuto un amico che, dotato di grande generosità, ce ne aveva date addirittura due tra cui scegliere.

I nostri test di montaggio si erano fermati su un’ottima e spaziosa Ferrino, decretandola la scelta perfetta ignari dell’imprevisto che ci si sarebbe parato davanti.

Entrambe le tende erano avvolte da un telo verde occhiellato, lo stesso che si utilizza come isolante sotto, da poggiare sul terreno. Riconoscerle era impossibile e, guarda caso, ci siamo sbagliati!

Così, al posto della Ferrino, ci siamo ritrovati a condividere una tenda mai testata confidando che fosse almeno integra. E lo era, peccato però che fosse anche angusta e, reduce da chissà cosa, all’interno conteneva ancora qualche filo d’erba e un paio di occhiali.

A mali estremi…

… e le amicizie

Finita la parte costruttiva e soddisfatti dell’opera ingegneristica siamo andati a recuperare la legna da ardere.

Al ritorno, poco sopra la nostra postazione, un gruppetto di veterani ci ha chiesto di unirci a loro, purché badassimo di non accendere il nostro fuoco troppo vicino per non incendiarli!

Questa credo che sia la cosa più bella che mi sia rimasta impressa. L’empatia e la convivialità tra perfetti sconosciuti.

Questo gruppo di tedeschi attempati e rotondi, dalle facce barbute e genuine, ci ha fatto trascorrere due giorni magnifici seduti sulle balle di paglia che circondavano il bivacco, con un treppiedi serio sul quale poter cuocere ogni ben di Dio.

Così, nel vero spirito del Treffen, abbiamo banchettato con specialità tedesche e romagnole, in allegria, stringendo amicizie nuove e condividendo esperienze.

La sera leoni…

… la mattina dormiglioni!

Data la baldoria durata a lungo, il giorno seguente ci siamo svegliati decisamente stanchi seppur contenti: era andato tutto bene, nonostante i fuochi d’artificio esplosi fino a tardi che rischiavano di incendiare i così esili ripari. Non volevamo certo sperimentare anche la Ferrino così velocemente!

Senza neppure uscire dal sacco a pelo ho acceso la moka del caffé che avevo piazzato nella “veranda” della tenda, utilizzando il fornelletto rigorosamente a propano (il butano a quelle temperature non brucia): immediatamente un odore di casa aveva riempito gli spazi… è incredibile come un caffè ti faccia sempre sentire a casa, anche a 1000 km di distanza!

Il sabato del Treffen è una giornata meno intensa: tante le ripartenze di chi, sopravvissuto alla nottata, inverte la rotta, anche a malincuore.

Il campo si svuotava pian piano, lasciando vistose aree piene di quella paglia che ci era tanto mancata la notte prima.
Anche molti viveri, ahimè, venivano abbandonati sul campo come se fossero zavorre, per rendere i mezzi più leggeri.

Si è rivelata, comunque un’altra bella giornata fra freddo, sole e pazzi scatenati che gareggiavano nella fossa o a chi si immergeva in una gelida pozza.

Ricordo di aver scattato diverse centinaia di foto a moto e soggetti incredibili, persone eccentriche avvolte in pellicce improbabili o individui in kilt. Le moto, ma soprattutto i sidecar – per i quali il raduno è nato – erano particolarmente originali: dal cimelio della seconda guerra mondiale all’ultimo modello uscito sul mercato.

La neve, seppure abbondante, aveva concesso una tregua in quei giorni e a parte il ghiaccio, sul quale era difficile rimanere in piedi, si riusciva a girare nell’accampamento discretamente.

Nonostante ci trovassimo nella patria dell’Oktoberfest, credo di aver bevuto più the bollente che birre gelate!

Di notte la colonnina di mercurio scendeva abbondantemente sotto i -10° e non mancava mai un’occhiata alle moto, con la paura che non partissero più.

Tra la paranoia e la previdenza, le abbiamo accese ripetutamente sotto quella crosta di ghiaccio che vi si era formata sopra. Fortunatamente né la mia Ténéré né la BMW di Dario hanno mai dato segni di cedimento, nonostante la maggior accortezza che il craburatore richiede.

Al terzo giorno, l’ospite…

… parte.

E, infine, l’ultimo giorno. Come da programma, la domenica mattina ci siamo svegliati alle sei in punto, per essere pronti e marcianti alle otto. Tassativamente. Avremmo fatto un’unica tirata fino a Rimini e non potevamo attardarci troppo.

Smontata la tenda e caricati i bagagli siamo partiti da Loh in perfetto orario, ma non prima di aver scattato un’ultima foto ricordo con le moto davanti all’ingresso. Sarebbe stata la prima di una lunga serie.

Ma ci sono voluti solo pochi passi per realizzare che la maratona teutonico-romagnola non sarebbe stata una passeggiata. Scendendo in direzione Deggendorf ci siamo inabissati nella “nebbia più Padana” che avessimo mai visto: la visuale calava metro dopo metro, complici le visiere dei caschi che dapprima iniziavano a fare condensa per poi ghiacciarsi completamente.

Puntando Monaco Innsbruck continuavamo a viaggiare con la visiera aperta e chiusa a tratti, per evitare di congelarci gli occhi!

Vipiteno, durante una sosta benzina, una notizia alla radio captata da un’auto ci ha mozzato il respiro: la partita Bologna – Roma era stata rinviata causa neve. Erano solo le tre del pomeriggio, cosa mai avremmo potuto trovare davanti a noi, verso sera?

Disastro! Scoraggiati ma ben intenzionati a riuscire nel nostro intento, siamo ripartiti con l’intenzione di fermarsi solo per fare rifornimento, “mangiando” km a più non posso.

La neve, però, ci aveva preceduti accogliendoci a Mantova con i primi fiocchi che imbiancavano la carreggiata. A Carpi abbiamo ceduto a una sosta tattica per decidere il da farsi.

“Caspita! Siamo così vicini a casa eppure in situazione di estrema difficoltà” era il nostro pensiero. La decisione è stata semplice e veloce: proseguire, valutando via via se fosse il caso di fermarsi o meno.

Con le moto sempre stracariche e un abbondante strato di neve sull’autostrada, siamo ripartiti guidando con accortezza e cercando di solcare le impronte lasciate dagli pneumatici dei camion. 70 km/h la nostra andatura media, per non cadere.

A causa della scarsa visibilità noi stessi eravamo poco visibili nonché lenti e poco agili: venivamo sorpassati costantemente da tir strombazzanti che non gradivano il nostro ingombro sulla loro corsia.

Posso realmente dire essere stati, quelli, 100km davvero estenuanti con la neve che ci si attaccava sulla visiera costringendoci a pulirla con la mano, a mo’ di tergicristallo, ogni tot secondi.

Quella povera mano sinistra che non potevamo evitare di esporre alle intemperie ma che continuava a infradiciarsi sempre di più!
Ormai anche il pinlock sulla visiera era compromesso e l’acqua si era infiltrata fra le due membrane.

Dopo essere stati impallinati da mezzi spargisale e aver superato gli spartineve all’altezza di Bologna, abbiamo raggiunto Forlì dove, con nostra gioia, non nevicava più!

Casa!

Ancora un piccolo sforzo e saremmo arrivati. E infatti, dopo ben 13 ore di calvario, eravamo a casa: ricordo che c’era tutto il comitato di accoglienza ad attendermi, formato dalla mia famiglia e i miei genitori.

Mi ci è voluto più di un minuto per scendere dalla moto, quella moto con la quale avevo percorso quel giorno quasi 1000km per rientrare a casa.

Dopo i graditissimi saluti di rito il mio primo pensiero è stato mettermi a mio agio e togliermi tutti quei vestiti di dosso: avevo più strati di una cipolla di tropea.

Una piccolezza che mi ricordo ancora, e che mi sono portato dietro, è certamente l’odore di affumicato che il Treffen dispensa ai suoi ospiti. Sembravamo bistecche ambulanti!

E se io, ancora oggi, vagheggio coi ricordi – e continuo a marcare sul fucile tutti gli Elefantentreffen tacca dopo tacca -, Dario non ha più voluto sentirne parlare. Dopo aver venduto la BMW, che aveva ormai conquistato la gloria, è tornato a scorrazzare sul suo diabolico trabiccolo (il T-Max).

Io, come mi avessero drogato, sto già fremendo per quello 2020…
 

Testo: Sten

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