“Per secoli, dal graduale abbandono della Via della Seta in poi, la linea dal deserto del Kara Kum Turkmeno fino al deserto del Takla Makan nel Turkestan cinese è rimasta uno dei luoghi meno attraversati del pianeta. Finché all’inizio del Novecento, quasi all’improvviso, alcuni fra i migliori – e più visionari – studiosi di cose antiche hanno deciso, tutti insieme, di partire alla scoperta delle civiltà che si dicevano sepolte, e intatte, sotto la sabbia”.
Peter Hopkirk Diavoli Stranieri sulla Via della Seta
È da un po’ di anni che organizzo e accompagno tour in moto in giro per il mondo, dagli USA, alla Tunisia, al Marocco alla Nuova Zelanda e Sud Africa, Himalaya, Capo Nord, Albania, Irlanda…insomma ovunque si possa andare in moto.
E neanche a farlo apposta, una mattina (me lo ricordo ancora come fosse ieri!) mi arriva una telefonata da parte del dott. Pierpaolo Pozzi di Riso Principe che mi annuncia che con il dott. Gianluca Pesce di Riso Scotti avrebbe avuto il piacere di incontrarmi per progettare insieme un tour Trans-himalayano in Laddack, come tour in moto aziendale della Riso Scotti Spa. Ci incontriamo e nasce subito una buona intesa!
Era l’inizio di aprile 2016 e mi misi immediatamente al lavoro: progettare e organizzare tutto alla perfezione per un viaggio così importante, dove avrei accompagnato 16 motociclisti tra cui il dott. Dario Scotti in Laddack ad affrontare il Kardungh La Pass, a 5.700 metri in moto, nell’ambito di un progetto aziendale come Riso Scotti Feed the planet. Insomma, non era proprio uno scherzo.
Bene, se ci ripenso ora, dopo aver portato a termine la Transasiatica 2017, sorrido. Sorrido al ricordo di quel viaggio meraviglioso e delle preoccupazioni (giuste) che avevo rispetto a ciò che abbiamo affrontato!
Quasi non abbiamo fatto in tempo a tornare da quest’avventura che si rimettono subito “in moto” le idee. Ricevo una telefonata dal dott. Pesce che mi annuncia che a giugno saremmo dovuti ripartire. Occorreva pensare a un viaggio ancora più straordinario di quello appena fatto! L’idea iniziale era di arrivare a Samarcanda… “Fantastico”, pensai tra me e me inizialmente…
Cominciai a ragionarci. Sì Samarcanda è una mèta fondamentale da raggiungere in moto ma c’era qualche “ma” che mi frullava in testa. Come dire: “non è abbastanza”. Già sentito, già fatto. Chiamai Gianluca (il dott. Gianluca Pesce) e ci misi sopra, come si dice quando si gioca a briscola, “il carico da 11”, l’asse di briscola: “Gianluca, che ne dici se invece di fermarci a Samarcanda proseguissimo fino a Kashgar, in Cina, percorrendo l’antica Via della Seta di Marco Polo?”. Rimase un attimo in silenzio: “ti richiamo tra poco” fu la risposta. E poco dopo mi richiamò. Neanche a dirlo era fatta: cominciammo a progettare da subito la Transasiatica 2017, quella che sarebbe stata una delle più grandi esperienze di viaggio: 6 paesi da attraversare e 6 frontiere tra le più difficili a livello burocratico del mondo: Iran, Turkmenistan, Uzbekistan, Tajikistan, Kirghizistan e infine la Cina!
A monte c’è stata una preparazione al viaggio durata sei mesi, durante i quali lo sforzo organizzativo è stato enorme per ottenere tutti i visti per le persone e i permessi per le moto per ogni frontiera, per far in modo che non ci fossero intoppi, o peggio, che qualcuno ci negasse il passaggio. Potete immaginare cosa un diniego avrebbe comportato, con 22 moto e 22 persone bloccate in qualche frontiera? Organizzare tutti i voli, i pernottamenti, il trasporto delle moto dall’Italia all’Iran e dalla Cina, prima da Kashgar a Pechino e poi da Pechino in Italia. Organizzare i rifornimenti benzina per 22 moto per circa 2.500 km. Considerate che in Turkmenistan, ma soprattutto in Uzbekistan, è quasi impossibile trovare benzina nei normali benzinai.
E poi il viaggio: oltre 4.000 km, da percorrere su “strade” per lo più sterrate o malmesse. Dal deserto turkmeno, alle pianure dell’Uzbekistan fino alla strepitosa Pamir Highway, che di Highaway ha il nome ma che rimane una delle strade più belle al mondo fatta di sterrato, guadi di fiumi e pietre! Da non farsi mancare assolutamente, ma da fare almeno una volta nella vita per chi ama andare in moto!
La scelta della moto: 22 Moto Guzzi V7 III Stone! Sicuramente non proprio la moto adatta per un viaggio e per strade del genere ma, guarda un po’, ancora una volta un altro grande marchio italiano si è dimostrato più che all’altezza della situazione. Quella moto lì non ha mai perso un colpo durante tutto il viaggio! Ha affrontato qualsiasi tipo di strada e condizione senza batter ciglio! Un vero gioiello.
Non lo nego, le preoccupazioni sia prima che durante il viaggio per me sono state tante. La responsabilità della buona riuscita di un’impresa del genere me la sentivo tutta addosso. La Via della Seta si fa. Ci sono molti motociclisti in solitaria che la affrontano, magari solo la Pamir Highway. Ma farla con 22 moto e 22 persone è tutta un’altra storia.
E così ci siamo trovati insieme, quel 14 giugno 2017 a Milano Malpensa. Bagagli, tute da moto, caschi. Pronti a partire in volo per Mashhad, considerata la capitale islamica dell’Iran, situata a circa 70 km dal confine turkmeno dove ci attendevano le nostre moto e da dove sarebbe cominciata l’avventura.
Oltre all’avventura stessa – attraversando sei Paesi, due deserti e tre passi di montagna oltre i 4.000 metri – l’obiettivo di questo viaggio da ‘una volta nella vita’ è consegnare aiuti umanitari in Uzbekistan, una delle repubbliche più povere tra quelle nate dopo l’indipendenza dall’Urss nel 1991, che pure, tra i suoi tesori, custodisce la città ‘fortezza di pietra’. È questa la meta dell’avventura solidale 2017 del team di Riso Scotti, attraverso le 15 tappe di questo itinerario che parte da Mashhad, in Iran, per arrivare a Kashgar, in Cina, passando da Turkmenistan, Uzbekistan, Tagikistan e Kirghizistan. Una volta partiti da Mashhad, percorrendo la strada che porta sulle montagne al confine col Turkmenistan, si sente ancora l’eco delle carovane che attraversavano ilcentro Asia per portare in Europa seta e spezie. Tesori e sfarzi tramontati, ma la cui luce brilla ancora nel presente, riflessa nelle maioliche della necropoli di Shah-i-Zinda a Samarcanda, capitale dell’antico regno di Tamerlano. Dal 2001 la città uzbeka, una delle più antiche del mondo, è Patrimonio Unesco con il titolo di Crocevia di culture. Ma quello che colpisce di più in tutti questi Paesi è il mix di etnie, lingue e radici. Lo si coglie nei volti che abitano le yurte nel deserto del Karakum turkmeno o in quello del Taklamakan, nella Cina degli Uiguri, etnia con nazionalità cinese ma turcofona e di religione islamica. Tutti eredi di civiltà sepolte, intatte sotto la sabbia. Da riscoprire lungo queste rotte che, a inizio Novecento, sono state (ri)tracciate da studiosi e avventurieri che hanno voluto ricalcare le orme dei mercanti. Da allora, il mito della Via della seta è tornato a splendere.
Subito il primo grande scoglio: la frontiera Iran-Turkmenistan. Due casermoni situati l’uno di fronte all’altro, immersi nel più profondo nulla, distanti da tutto. Certificati, visti, lasciapassare per persone e moto, tutto scrupolosamente redatto a mano con controlli infiniti alle moto e ai nostri bagagli che ci hanno portato via 11 ore, trascorse con speranzosa pazienza nell’attesa di un qualche cenno di approvazione. Quando finalmente alle 7 di sera ci lasciano entrare, ci accoglie un paese totalmente sconosciuto, nascosto al turismo di massa. E subito Ashgabat, la capitale, che dà l’idea di una Pyongyang molto più sfarzosa: oro e ricchezza ovunque a fronte di una popolazione quasi inesistente. Nessun macchina. Nessuna moto. E il giorno successivo via attraversando il deserto del Karakum per tutta la lunghezza del paese. Una lingua di asfalto ridotta in pessime condizioni, con temperature di 50° da percorrere per arrivare alla tappa intermedia: Darwaza, “La Porta dell’Inferno”, ovvero un vecchio giacimento di gas fatto esplodere nel 1961 che ancora brucia costantemente generando un fascio di luce fino al cielo nel mezzo del deserto di sabbia dove pernottiamo.
Dal Turkmenistan si entra in Uzbekistan, praticamente a Khiva (e anche in questo caso la frontiera non è stata da meno), successivamente verso l’antica Bukahara e finalmente il miraggio di Samarcanda. Sono passati 8 giorni dalla partenza da Mashhad ma sembra un’eternità che siamo in viaggio. Il caldo infernale lungo le strade ridotte a un colabrodo fa sembrare Samarcanda la giusta destinazione finale, senza sapere però che la parte più emozionante e spettacolare del viaggio doveva ancora arrivare.
Una volta entrati in Tajikistan, ci attendeva una delle più belle strade che si possano e che si devono fare: la Highway M41, meglio conosciuta come Pamir Highway, che di “Highway” ha solamente il nome. Viene chiamata Pamir, ma il suo vero nome è Bam-i-Dunya, che in persiano significa “Il tetto del mondo”. E si capisce subito il motivo una volta intrapreso il cammino. La strada si snoda attraverso l’altipiano circondato da maestose vette oltre i 7.000 m s.l.m. che sono la vera attrazione del Paese. Quello del Pamir è un altipiano vastissimo, dal quale si diramano le più imponenti e maestose catene montuose della terra, l’Hindu Kush a nord-ovest, il Tien Shan a nord-est, il Karakorum e l’Himalaya a sud-est. È davvero una delle esperienze più straordinarie per un motociclista quella di percorrere la Pamir Highway-M41, la seconda strada più alta del mondo, dopo quella del Karakorum. Fu costruita dai russi negli anni ’30 per facilitare il trasporto di truppe nei remoti avamposti dell’Impero sovietico ed è tuttora la più suggestiva della regione. La strada, per quanto a tratti sia dissestata e gravemente danneggiata da erosioni e frane, dopo aver fiancheggiato il confine afghano per 600 km, si inerpica attraverso una serie di altipiani con vedute montane straordinarie. Tra profondi laghi turchesi e vallate a perdita d’occhio, paesaggi lunari, mandrie di cavalli e yak, antiche tombe, sorgenti termali e remoti accampamenti di yurte, si arriva al meraviglioso Lago Karakul, quasi al confine con il Kirghizistan, il paese degli ultimi nomadi. Ancora l’ultima tappa e finalmente la Cina, e l’arrivo a Kashgar, una delle prime roccaforti lungo l’antica Via della Seta.
È stato un viaggio impegnativo ma ce l’abbiamo fatta. Con tutte le mille difficoltà che rendono un viaggio unico, senza di quelle sarebbe solo un viaggio. Questo no, questo è stato qualcosa di ben più grande. Un’avventura pura. Preoccupazioni sì, quelle che ti tengono vigile e attento, quelle che tengono alta l’adrenalina. E ce l’abbiamo fatta soprattutto grazie allo spirito, all’unione di tutte le persone coinvolte.
“Quello che rende possibile riuscire in un’impresa è la determinazione delle persone”.
Testo e foto: Andrea Alessandrelli
Video: Marco Polo TV