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Alla scoperta della Dakar Viaggio in Sudamerica parte 2

Il Cile l’ho percorso tutto, dalla Terra del Fuoco fino all’estremo nord al confine con Perù e Argentina. Da Ushuaia mi sono diretta verso nord sulla Ruta 3, ho visitato la penisola Valdés, risalendo sulla costa argentina. Lunghissima e monotona con forte vento dove, per la noia e la stanchezza, mi sono quasi addormentata rischiando di finire fuori strada. Nel tardo pomeriggio di quel giorno, soffrendo notevolmente per la lunga tappa, cerco inutilmente una sistemazione per la notte. I distributori presso i quali speravo di trovare accoglienza mi rifiutano tutti, spingendomi sempre più avanti. Finalmente ricevo un’indicazione confortante: a circa trenta chilometri dalla mia attuale posizione c’era un paesino in cui trovare alloggio. Sono già le nove di sera e mentre sconsolatamente penso di avviarmi nella direzione indicatami, un motociclista di passaggio accompagnato dalla moglie si ferma e mi invita a seguirlo fino alla sede del suo moto club a Caletta Olivia. Lì trovo altri motociclisti e vengo calorosamente accolta e ospitata per due giorni. Risalendo l’Argentina, sono andata a trovare un amico fantino e motociclista di Buenos Aires che mi ha ospitato alcuni giorni nella sua bellissima casa in campagna dove stava trascorrendo un periodo di vacanza insieme alla moglie e al figlio. Ho avuto modo di esplorare la zona con lui, abbandonando la moto e salendo sul cavallo.
Ripartendo, proseguo il viaggio in direzione Cordoba dove ritrovo i motociclisti peruviani e Adrian. Passo una splendida serata con loro e poi di nuovo in sella direzione nord. Proseguo per Rosario, dove sono stata ospitata per tre giorni a casa di Andrea e Claudio, due vecchi amici motociclisti fanatici della Dakar, con cui abbiamo avuto molte cose da raccontarci.

Da lì sono ripartita verso Salta e il Passo di Jama. Come successo altre volte durante il viaggio, ho forato e questa volta, subito dopo aver attraversato il confine tra Cile e Argentina, a circa 4800 metri di quota. Sono entrata in una tempesta di neve. Ho continuato a guidare nella tormenta per altri sette chilometri fino ad arrivare al confine tra Cile e Bolivia. I doganieri spaventati dalle paurose condizioni climatiche mi hanno gentilmente offerto ospitalità per la notte presso la dogana. Il mattino successivo, riscaldata e rinfrancata, ho cambiato la camera d’aria e dopo circa 40 km a San Pedro De Atacama ho trovato un gommista che mi ha vulcanizzato il pneumatico. Finalmente arrivata a Calama, una splendida città sul mare, sono riuscita a trovare una concessionaria KTM e ad acquistare una nuova gomma.
Un grave problema che ho riscontrato è quello dell’altitudine. Avevo in programma di salire il passo Sico dove passa il treno più alto del mondo, “il treno delle nuvole”. Di giorno l’altitudine si soffre in maniera accettabile ma la notte è un supplizio tremendo. È questo il motivo che spinge le popolazioni andine a masticare foglie di coca. Anch’ io me ne sono procurate, sono in vendita liberamente in piccoli sacchetti nei chioschi delle città ma non me la sono comunque sentita di salire al passo. Dopo aver trascorso una notte in quota, ho girato le forcelle e sono tornata indietro. Sarà la sfida per il mio prossimo viaggio.
In Cile ho visitato la Valle della Luna, il deserto di Atacama e i laghi di acqua salata. Postando le foto su Facebook sono entrata in contatto con Pinuccio e Doni due motociclisti che, con una vecchia Transalp, stanno viaggiando in Sudamerica da quattro anni. Prendo contatto e decidiamo d’incontrarci a sud della città di Antofagasta presso la scultura Mano del Desierto.

Proseguendo, mentre mi trovo ad attraversare il centro della città cilena di Copiapó, una chiave inglese abbandonata sull’asfalto si infila tra i tasselli della gomma nuova tranciandomi di netto il pneumatico e tagliando la camera d’aria. È domenica e ci sono almeno quarantadue gradi. Mi accosto all’ombra di un albero e armandomi di coraggio, smonto la ruota. Un motociclista di passaggio vedendomi in difficoltà si offre gentilmente di aiutarmi. Carica la mia ruota sulla sua moto e mi accompagna fino alla baracca dell’unico gommista aperto nella zona, una persona anziana che lavora in condizioni disagiate ma che riesce a eseguire un ottimo lavoro vulcanizzando lo strappo sul copertone e sostituendo la camera d’aria. Con questa riparazione, di cui onestamente non mi fido al cento per cento, continuo il mio itinerario verso sud cercando comunque di non superare mai i cento chilometri orari.
Lungo il percorso mi fermo con l’intenzione di scattare una fotografia a un branco di piccoli lama che pascolano lungo le rive di uno stagno, quando vedo passare tre motociclisti con targa italiana che si fermano; sono una signora di sessantuno anni con il marito ed un amico con cui ho condiviso il container per il trasporto delle moto.
Bellissimi i paesaggi che ho attraversato a circa duecento-trecento chilometri a sud di Valparaiso, nella zona di Santa Cruz lungo la Ruta dell’Olio, la Ruta del Vino e la Ruta della Frutta. Sembra di attraversare la Maremma!
Complici le foto che periodicamente inserivo su Facebook, vengo contattata da Judit Tommaselli, una giornalista italo-francese che segue la Dakar dal 1995 ed in quel periodo stava attraversando il Cile con la sua jeep in solitaria. Decidiamo di incontrarci andando a visitare insieme una folcloristica festa del vino sul lago. Dopo quattro meravigliose giornate passate insieme, in parte al mare ospiti del suo amico meccanico e proprietario di uno stabilimento balneare, lei riparte per la Francia, ed io per Valparaiso. Torno all’ostello di Enzo e Martina che mi stavano aspettando per fare nuovamente le pratiche doganali per la moto e lì ritrovo Antonio, Giovanni, Pinuccio e Doni, anche loro in procinto di imbarcare la moto.

Gli unici inconvenienti tecnici durante il viaggio sono state le frequenti forature. Le rocce taglienti non hanno avuto pietà delle mie gomme.
Fortunatamente con l’utilizzo del compressore, del fast e delle stringhe che avevo al seguito, sono sempre riuscita a gonfiare il pneumatico in modo da raggiungere il gommista più vicino (normalmente trenta, quaranta chilometri) che provvedeva a vulcanizzare la gomma. Purtroppo questo tipo di riparazione con il caldo e la velocità tende a rivelarsi poco affidabile.
Alla prossima!

Testo e foto: Silvia Giannetti

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