Vuelta ao mundo parte 1

Dopo un anno di preparazione è arrivato il giorno della partenza. Siamo partiti in fretta, non di domenica come previsto, ma in un torrido mercoledì d’agosto conciati come zingari.

Ci chiedevamo come le moto potessero rimanere in equilibrio con la mole di bagaglio che avevamo appresso. Perfino il bauletto era invisibile, sepolto da tutto e di più.

Orgogliosi del progetto e dell’attrezzatura – eravamo decisamente sovraccarichi – temevamo che questo potesse far uscire di strada le moto.

Avevamo davanti un lungo viaggio fino al Brasile, in 4 continenti attraverso 30 Paesi

La prima sosta è stata al confine con l’Ucraina: un confine anche psicologico, attraversandolo avremmo lasciato tutto alle nostre spalle.

Eccoci al nostro primo contatto con una lingua sconosciuta. Al bar della stazione di servizio proviamo a ordinare la colazione. Ci hanno servito una minestra! Però era squisita e abbiamo ordinato un’altra porzione.

Attraversando ancora la frontiera da est, non ci aspettavamo di fare un viaggio indietro nel tempo verso nuove frontiere: Kazakistan Uzbekistan.

Abbiamo attraversato la Russia velocemente. La sosta in un albergo della città russa di Volgograd ci ha ricordato i tempi dell’Unione Sovietica.

È incredibile pensare quante persone abbiano lavorato in un posto così, sull’orlo della rovina, con vetri tenuti insieme dal nastro adesivo, pareti con due strati staccati di carta da parati, l’intonaco del soffitto del bagno cadente, la porta del bagno tolta dai cardini e le prese elettriche penzolanti. Per non parlare dell’acqua, che invece di finire nel tubo di scarico andava direttamente per terra.

Sicuramente il luogo perfetto per il sequel del film Hostel.

Kazakistan – Borat

La guardia alla frontiera ci accoglie con queste parole “Ok Signori benvenuti in Kazakistan!” pronunciate con uno strano accento che ci ha fatto sorridere. Fin qui tutto bene, ma non sarebbe durato a lungo. Abbiamo mantenuto un ottimo ritmo di viaggio tant’è che siamo giunti al confine con l’Uzbekistan, nella città di Beuneu, con ben 5 giorni in anticipo.

Qui però il nostro visto non andava bene e, non potendo entrare, siamo stati costretti a una deviazione di percorso che ci ha portato a visitare la spiaggia della città di Aktan sul Mar Caspio. Non avevamo idea di cosa ci aspettasse. Niente più asfalto, né edifici. Intorno a noi solo un deserto di arbusti con una strada che era un disastro.

Abbiamo forato attraversando un terreno roccioso. Abbiamo seguito una deviazione per lavori stradali, ritrovandoci a guidare attraverso sabbie profonde, era come una sfida tra scherzo e realtà. Tante le cadute, perché sovraccarichi, con gli pneumatici costretti su terreni pessimi e per la nostra poca esperienza off-road.

Ecco apparire le prime crepe sulle nostre Yamaha, cadono le prime viti e si deformano alcune parti.

Fine della gita, inizia la “spedizione”!

Finalmente abbiamo raggiunto Aktan, pensando fosse stata la peggiore decisione della nostra vita.

Ripensandoci ora, questa strada attraverso l’inferno è stata un’esperienza necessaria. Addio sabbia, addio pietre, abbiamo salutato con sollievo il deserto del Kazakistan, attraversando il confine con l’Uzbekistan.

Ora eravamo sulla leggendaria via della seta.

Lungo il percorso abbiamo incontrato le città di Khiva, Bukhara e Samarcanda.

Khiva è una piccola città medievale circondata da mura e ricca di bellezze architettoniche. Bukhara è caratterizzata dal colore sabbia da cui spicca il blu delle madrase (la madrasa è una sorta di convitto musulmano ove si impartiscono insegnamenti di religione e diritto).

L’attraversamento in centro con le moto ci ha molto emozionato e l’attraversare la parte vecchia della città con le moto strusciando i gomiti sulle pareti delle case fino alla piazza centrale ci ha fatto provare una forte emozione.

Costruita su uno specchio d’acqua che la rende molto caratteristica, Samarcanda è diversa, è una delle città più antiche al mondo, con grandi edifici e grandi viali movimentati.

In Uzbekistan abbiamo scoperto un nuovo modo di intendere “albergo”, una notte l’abbiamo trascorsa in una vecchia stalla, e un’altra su materassi sistemati sul tetto di un edificio.

Anche il cambio della valuta è un’esperienza diversa. Il denaro si cambia in piena confusione, al mercato e certo in modo non regolare. Se dovete scambiare 200 dollari, procuratevi uno zainetto per l’enorme quantità di moneta locale che vi daranno in cambio.

Nonostante tutti i problemi incontrati, ricorderemo l’Uzbekistan con simpatia.

Una caduta… “fortunata”

Non lontano da Samarcanda, una giovane donna ha attraversato improvvisamente la strada davanti a noi, un conto se ci si trova davanti un cane che scappa, ma se si tratta di una bambina!

Andando a 110 km all’ora, la frenata è stata forte e violenta, tanto da far slittare la ruota anteriore con rovinosa caduta sull’asfalto. Fortunatamente è andata bene, la bimba è riuscita ad attraversare illesa, e le protezioni della tuta (soprannominata Modeka da uno del gruppo), hanno attutito i colpi a dovere.

Abbiamo buttato i guanti di stoffa, la Yamaha ha avuto nuove ammaccature, ma abbiamo apprezzato come tutto il resto abbia retto bene alla caduta sull’asfalto. L’unico vero problema l’abbiamo avuto con lo stelo della sospensione anteriore, problema che abbiamo risolto con l’aiuto di un abitante della città di Tashkent.

Dopo questo incidente abbiamo sostituito i guanti di stoffa con quelli di pelle.

Verso il Tagikistan

Dall’Uzbekistan abbiamo programmato di andare in Tagikistan attraverso la Pamir Highway ma, a causa di una rivolta in atto, le pattuglie militari ci impedivano di proseguire facendoci tornare indietro delusi.

Cambiata direzione, ci siamo diretti verso Kirgistanu, in quanto la frontiera con il Tajikistan era chiusa, e la prossima era a 600 km. Qui sono iniziate le prime tappe di montagna, e invece di dormire nelle stalle o sotto le stelle, abbiamo scelto la tenda.

Per raggiungere il primo accampamento abbiamo percorso una strada sterrata lunga 60 km, verso ovest dalla strada Biszkek-Narin. La prima parte attraversava una valle pittoresca circondata dalle alte vette delle montagne. Gli ultimi 20 km sono stati più impegnativi con strade strette e ripide, curve e sassi ma anche con un panorama mozzafiato.

L’esperienza off-road si accresceva. Arrivati alla meta, il lago Song Koll, ci trovavamo a 3055 metri sul livello del mare, e la temperatura era molto più bassa. In tenda avevamo una stufa, ma non funzionava!

La mattina ci siamo resi conto che non c’era da scherzare e abbiamo indossato altro vestiario sotto la tuta.

Ci si inoltra in Cina verso il Pakistan

Abbiamo lasciato il Kirgistan nella valle di Tash Rabat, dove abbiamo incontrato un gruppo di 10 persone con le quali avremmo proseguito il viaggio attraverso la Cina fino al Pakistan.

Della Cina abbiamo visto poco. La provincia che abbiamo attraversato, il Xinjang, è in realtà una strada di transito per raggiungere il Pakistan. La Cina vera, come molti di noi si immaginano, è la parte orientale del paese, a detta del nostro amico finlandese.

Al confine ci hanno perquisito, hanno controllato tutti i pc e i dischi rigidi, hanno confiscato i coltelli e abbiamo affrontato una battaglia burocratica. Abbiamo atteso i documenti necessari dormendo nel parcheggio. L’organizzazione a cui ci appoggiavamo si è rivelata di scarsa professionalità. Il morale del gruppo era a terra.

Dopo cinque giorni tutti i componenti del team internazionale erano di pessimo umore, ma siamo arrivati comunque al confine tra Cina e Pakistan. La Guardia di frontiera veniva verso di noi accogliendoci con un gioioso “Welcome to Pakistan!”.

Dopo l’esperienza in Cina, il caloroso benvenuto ci ha tirato su il morale. Il passo Khunjerab si trova a 4693 metri di altitudine ed è il più alto punto di confine asfaltato al mondo, costruito in 20 anni sulla Karakorum Highway e costato la vita a ben 1000 operai.

Sembra costruito apposta per noi motociclisti. Abbiamo percorso il suo tratto cinese senza difficoltà. In vetta siamo passati sotto un arco in pietra, l’entusiasmo era alle stelle, avevamo raggiunto il luogo simbolo di tutto il percorso.

Ma il bello è cominciato sul versante pakistano.

Dopo il passo abbiamo detto addio alla strada asfaltata. La KKH (Karakorum Highway) era in fase di lavori di rifacimento e questo ci ha regalato altre emozioni. Appena qualche centinaio di metri ed ecco la prima deviazione, ci siamo trovati a costeggiare una montagna lungo un grande ruscello.

Eravamo disorientati perché guadare un fiume era per noi una novità e lungo la tratta ne abbiamo incontrati diversi. A ogni attraversamento alcuni tenevano le macchine fotografiche e le telecamere pronti ad immortalare coloro che si apprestavano ad attraversare il guado, in attesa di qualche caduta.

Fortunatamente nessuno ha fatto il bagno! Questi tratti con ghiaia, fango, pietre, a volte asfalto, nella spettacolare cornice della KKH, si sono rilevati un divertimento per noi.

Una nuova avventura è stata l’attraversamento del Lago Attabad, formatosi nel 2010 a causa della grande frana che ha bloccato il fiume Hunza, allagando per 25 km la KKH e distruggendo 6 ponti.

La soluzione era semplice. Per attraversare il lago, l’unico modo era prendere il traghetto. Dal bagnasciuga si sale direttamente con le moto sulle piccole barche in legno e durante il tragitto è opportuno tenersi attaccati con le gambe ai pali in legno che sostengono le moto. I nostri traghettatori ci hanno allietato con racconti di auto letteralmente affondate e sparite nelle acque del lago!

KKH non è stata l’unica esperienza incredibile come percorso di montagna. Dopo essere scampati ai disordini, nascondendoci in un hotel a Islamabad, e miracolosamente evitato di essere travolti da macchine e autobus sulle strade indiane, ci siamo diretti verso Ladakh.

Il Ladakh è un Paese appartenente all’India e, per una piccola parte, si trova in territorio cinese, tra la catena montuosa dell’Himalaya e il gruppo montuoso del Karakorum.

Il posto è raggiungibile percorrendo una strada spettacolare partendo dalla città di Manali (2050 m s.l.m.) fino ad arrivare alla città di Leh (3524 m s.l.m.). Si tratta di un percorso totale di 450 km, attraverso molti passi e alcuni tratti a 5000 di altitudine.

Questa strada è la tappa che definerei “sfida al punto più alto sul tetto del mondo” con le due ruote; si arriva, infatti, fino ai 5606 m. s.l.m. del passo del Khardung La.

Le altitudini indicate dal navigatore era un racconto del progressivo aumento dell’altitudine dei passi: 3978 m Passo Rohang La; 5030 m Baralacha La; 5059 m Lachulung La e 5328 m Taglang La. La strada serpeggiava piena di curve tra rocce colorate alternate da paesaggi desertici e lunari nella calma tipica dell’India con interi giorni senza vedere un’anima.

Il Ladakh non è solamente un paradiso indiano, è anche il paradiso dei motociclisti, a parte la carenza di stazioni di servizio.
Abbiamo messo benzina ovunque fosse possibile, anche acquistandola in bottiglie dai locali, a prezzi maggiorati. Con la “Tenerona” abbiamo rischiato, facendo anche 130 km in riserva!

Lasciata l’India del nord le cose sono di nuovo cambiate: verso Nepal e Tibet

Il viaggio di 6 giorni verso il Nepal si rivela un incubo. Qui non esiste un codice della strada, persone e animali dormono ai bordi delle strade, macchine e moto arrivano da ogni direzione intrecciandosi, senza utilizzare specchietti. Ogni incrocio è un vero caos.

Fortunatamente in Nepal la situazione era più tranquilla con un traffico regolare. A Kathmandu ci attendeva il primo volo.
Pensavamo di raggiungere il Tibet sulle due ruote attraverso la Cina fino al Laos, ma sfortunatamente la legge cinese non autorizza l’ingresso a gruppi di più di cinque persone della stessa nazionalità.

Non potendo aspettare che tale legge cambiasse, abbiamo imbarcato le moto su un volo per Bangkok, da dove ci siamo poi diretti verso le isole thailandesi.

Prima di arrivare alla prima isola, ci si è staccata la catena della moto, ma fortunatamente un uomo aveva una vecchia catena della stessa misura ed era pure un meccanico!

Dopo questa piccola avventura siamo arrivati sulla nostra prima isola: Koh Samui. Avevamo sognato a lungo questo traguardo, eravamo veramente stanchi. Non solo fisicamente, ma anche mentalmente stanchi. Dovevamo fare qualcosa per riprenderci.

Sulle tre isole abbiamo trascorso in tutto 12 giorni: Ko Samui e Kho Phangan in sella alle moto, mentre abbiamo girato la terza isola con scooter a noleggio che montavano, con nostra sorpresa, pneumatici fuoristrada che andavano benissimo sulla sabbia.

Fine prima parte. La storia continua qui

Testo e foto: Lukasz Jastrzab

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