Tunisia

Tunisia all’improvviso

Tunisia all’improvviso… perché? Iniziamo a capire com’è che sono finita in viaggio in Tunisia. Beh, il principale responsabile è il deserto. Non ero ancora tornata in Italia dal Motoraid fatto in Marocco a inizio dicembre, che già avevo una voglia quasi incontrollabile di tornare a mettere le ruote sulla sabbia. 

Dalla mia avevo ancora da poter sfruttare i giorni di chiusura degli uffici dove lavoro e la totale assenza di programmi già fatti per le festività. Di contro, una limitatissima capacità di spesa.

Avevo iniziato a vagliare in rete i costi dei voli per il Marocco, oltre a chiedere preventivi per il noleggio di moto in loco, riscontrando cifre per me decisamente proibitive. Così succede che parlandone con un caro amico e “collega” coordinatore di Avventure nel Mondo, scappa fuori un

“ma alla Tunisia non ci hai pensato?”.

No, non ci avevo pensato minimamente. Mi dice che i costi per imbarcare la moto sono bassi, ed effettivamente facendo un preventivo, si rientrava in cifre accettabili per il mio risicato budget. Ovviamente passaggio ponte. 

Ne parlo con Pietro (Discovery Endual) convinta che mi desse della matta e, un po’ tra le righe, me lo ha fatto intendere. Però mi dice un’altra cosa fantastica: anche Dario Big Bike OFF sarà in Tunisia per uno scouting di un possibile TunisOFF 2024 (seguite la sua pagina e in caso non perdetevelo!!)

Per un attimo stava per saltare tutto per un sold out dei biglietti di andata da Civitavecchia, ma come ne è saltato fuori uno l’ho acchiappato al volo!

Tunisia Desert

E così sia: in pochissimi giorni lo strampalato progetto prende vita, a una sola settimana dall’imbarco

Non ho mai fatto veri viaggi in moto, giusto qualche fine settimana fuori porta, e non ho idea di come organizzarmi. Il mio Suzuki DRZ400 S del 2001 ha ricevuto alcune manutenzioni a fine ottobre, la gomma anteriore è nuova, agguanto al volo una nuova posteriore da Riga Gomme (fortunatamente già disponibile), e faccio il tagliando olio e cambio filtro olio insieme al mio amico Federico alias Guidoguidelli.

In cambio di una pizza facciamo un bel check generale e cambio anche le pasticche freno anteriori. Ora, sfiga permettendo, la moto è pronta.

Ma cosa mi può servire da portare con me?

Forature? Mi porto camere d’aria di riserva, leve, chiave a cricchetto, bussole, e bombolette di aria compressa per il gonfiaggio. Poi olio motore, cuscinetti ruota, cavo frizione, attrezzi e chiavi varie, filtri aria già oliati… finisce che le borse laterali BeFast che ho montato, ad esclusione del sacco a pelo, sono unicamente dedicate alla moto.

E io?

Per l’abbigliamento ho una sacca stagna donata da Arrow Exhaust in occasione della mia partecipazione alla Volterra Follonica, che mi consente di portare un cambio per la sera, un pigiama, ricambi di intimo e un paio di scarpe. Partirò da casa già vestita da moto. Medicinali ed elettrici vari in uno zainetto che porterò sulle spalle.

In poche parole sono carica come un mulo, ma felicemente carica! Faccio un breve giro di prova intorno a casa per valutare se ho fissato bene tutto e la moto sembra ben assestata ed equilibrata. Non si avverte quasi il carico, se non per l’ingombro e il movimento da Carla Fracci che devo fare per salire e scendere dalla sella.

Prima di entrare nello specifico, il programma di massima sarà il seguente

  • 27 dicembre imbarco a Civitavecchia
  • 28 sbarco e prima parte di trasferimento di 180 km fino a Kairouan
  • 29 altro tappone di 290 km per raggiungere Dario & co al Canyon di Mides
  • 30 deserto
  • 31 deserto
  • 1 gennaio pista fino a Matmata
  • 2 gennaio mega trasferimento di 500 km, per lo più autostrada, e imbarco a Tunisi

Il mostro del terzo quadro

Ecco, il programma del 2 gennaio, è quello che a me piace definire “il mostro del terzo quadro”, quello che in sala giochi da pischella determinava solitamente il Game Over. Ma il programma che lo precede, desertodesertodesertodeserto, mi fa accettare la sfida.

Ciò non toglie che nei giorni a ridosso della partenza sia stata letteralmente travolta da uno stato d’ansia che mi voleva trascinare nella condizione mentale di sconfitta in partenza, che non sarei stata in grado neanche di uscire dal porto.

E poi che sarebbe successo se mi fosse capitato un guasto proprio durante i lunghi trasferimenti da sola?

Ho dovuto faticare un po’ per mettere a tacere, o per lo meno calmierare, quella serie di pensieri negativi.

Alla fine, dritta o storta, sono arrivata al giorno della partenza. Mi concedo il lusso di arrivare a Civitavecchia trasportando la Blu sul furgone, non sarà da vera motoviaggiatrice, ma in fondo io mica lo sono, al massimo posso considerarmi apprendista anche in questo. Un passetto alla volta.

Le procedure di imbarco a Civitavecchia non sono così comprensibili

Ho già trovato difficoltà a trovare il check-in. Non proprio di buon auspicio se già mi perdo nella burocrazia. Incontro un motociclista che mi dà tutte le informazioni sulle procedure, e mi sobbarco la lunga fila di mezz’ora per il check-in. Qui incontro anche Stefano e Sandra, a cui ho tenuto il posto in fila e che incroceranno alcune nostre tappe in Tunisia con il loro pick-up 4×4.

Appena salita a bordo, l’apocalisse.

Non ho mai visto una nave così piena. A detta di altre persone una cosa davvero fuori dal comune. Non c’è più mezza sedia o poltrona libera. Il pavimento è preso d’assalto, come anche il ponte e i corridoi delle cabine. Stendo la giacca e la pettorina a terra sotto al sacco a pelo e mi piazzo sotto ad un tavolino. Non sembra nemmeno troppo male tutto sommato.

Ma arriva il messaggio di Stefano

“Eli hai la cabina? La nostra è da quattro, ti ospitiamo volentieri”.

Bene, il pavimento lo sfrutterò al ritorno, sbaracco tutto e accetto l’invito (che cu… fortuna!)

Al momento dello sbarco ci perdiamo, ma fortunatamente ci sono altri motociclisti (grazie Andrea @birrapong_ e Gianluca De Matteis) che mi aiutano a districarmi nelle complesse e a volte anche un po’ incomprensibili procedure doganali.

Credo non capirò mai perché ci debbano rimbalzare da un casottino all’altro per controllare documenti e timbri.

Cambiata anche la valuta locale ci salutiamo e ci auguriamo buona strada. Se pur breve è stato un bello scambio, che mi ha fatto sentire parte di una sorta di comunità. Non è sicuramente il termine giusto ma non me ne viene uno più adeguato, una sorta di comunità del motoviaggiatore in cui si tende una mano ad aiutare i più inesperti, tipo in questo caso me, e che mi ha aiutato non poco ad uscire più tranquilla dal porto.

Ancora un paio di km in scia a Gianluca e poi lo perdo. Lui deve macinare un sacco di km subito, e il mio mono 400 non può tenere il passo.

Il battesimo da sola 

Purtroppo non trovo subito la Sim locale e mi getto in autostrada alla volta di Kairouan seguendo le mappe offline scaricate. Direi che con guida in autostrada, al buio, freddo, in paese straniero, per la prima volta con la moto carica, e senza telefono, potrei aver raggiunto il mio limite di comfort zone.

Alla prima area di sosta arrivo abbastanza titubante. Mangio qualcosa e mi riprendo. Fortunatamente c’è anche uno stand della Orange. Non proprio la compagnia telefonica che mi avevano suggerito, ma preferisco avere comunque un mezzo che mi permetta di contattare qualcuno in caso di necessità. Una famiglia tunisina che da qualche anno vive in Italia, e di rientro per le feste, mi aiuta come interprete con la commessa, dato il mio francese quasi inesistente.

In poco tempo sono pronta a ripartire. Può sembrare una banalità, ma a stomaco e serbatoio pieno e con telefono funzionante, mi sono da subito sentita più serena. Una serenità che si è tradotta in 10 chilometri orari in più sul tachimetro. 

Arrivo alla struttura prenotata percorrendo una strada sterrata dissestata e con diverse pozze di fango, praticamente circa un chilometro di enduro soft

L’unica struttura illuminata in una area piuttosto estesa, devo essere per forza nel posto giusto, ma per un attimo ho pensato che non esistesse e che avrei passato la notte stesa a fianco della moto.

Nemmeno il tempo di spegnere il motore e pensare di telefonare per avvertire del mio arrivo e si apre il cancello. Mi stavano aspettando. Io con la mano alzata come una bimba che chiede alla maestra se può andare in bagno pronuncio giusto “Elisa”, ma sapendo che arrivavo in moto avevano già capito che ero io e mi accolgono a festa, con una premura che davvero mi riscalda.

Ho un appartamento tutto per me, mi mostrano tutte le stanze e ci accordiamo per l’orario della colazione, il tutto con un francese traballante. Ho iniziato da pochissimo a studiarlo e so giusto poche parole, ma tra quelle poche di francese che conoscevo io e quelle poche di inglese che conosceva l’host della struttura, ce la siamo cavata più che egregiamente.

Mi faccio portare un tè caldo della buonanotte e mi lascio scivolare tra le braccia di Morfeo. Più banalmente, schianto dal sonno e dalla stanchezza.

Rendez vous a Mides

Stamani mi aspettano altri 290 chilometri tutti in una tirata per raggiungere Dario e la comitiva al Canyon di Mides. Il mio DRZ non raggiunge i 200 km di autonomia. Non ci sono grandi problemi per raggiungere Mides, ma devo calcolare di fare l’ultimo rifornimento il più possibile vicino al ritrovo per poter avere autonomia necessaria per affrontare la pista Rommel, che percorreremo per raggiungere Tozeur.

Per un attimo è stato panico quando il punto rifornimento che avevo segnato sulla mappa non esisteva, ma poco più avanti si materializza un distributore e posso tirare un sospiro.

Finalmente raggiungo il gruppo. Sorrisi e strette di mano, da questo momento sarò in compagnia. Pranziamo e poi ci dirigiamo al canyon. La visita non richiede molto tempo, ma vale davvero la pena per la bellezza dello scenario, dopodiché, puntiamo diretti alla pista Rommel.

Il nome mi aveva subito affascinato, mi suonava come qualcosa di importante. Non avevo avuto tempo prima della partenza di documentarmi sui luoghi che avremmo percorso o visitato e l’unica cosa che avevo sentito in merito a questa pista era un “dicono sia molto bella”, quindi avevo un’aspettativa alta.

Vuoi per il bel panorama che si vede nel primo tratto, vuoi per la lunga pista di sabbia mista a terreno compatto a conclusione, le aspettative sono state assolutamente rispettate, se non superate. Dario mi aveva inviato la traccia e quindi ho potuto viaggiare avanti ai 4×4. Il passo della moto è più veloce in questo terreno e mi sono divertita davvero tanto.

La prima sabbia per la mia Blu. Un antipasto del vero deserto.

Le borse laterali, ancora tutte montate sulla moto, non ostacolano troppo nella guida in piedi. Poi ho rischiato di cadere per cercare di spegnere la telecamera mentre ero ancora in movimento, ma questo è un dettaglio del tutto trascurabile.

Alla fine della pista ci raduniamo e ci salutiamo dandoci appuntamento per la mattina seguente, dato che non pernottiamo nello stesso posto. Mi sistemo nell’appartamento prenotato e mi fanno parcheggiare nel cortile interno, anche se devo entrare salendo tre scalini.

Mi dedico alla moto controllando il livello dell’olio, il filtro aria e la catena, prima di coprirla per la notte e andare a recuperare qualcosa da cena.

Anche stanotte avevo un appartamento tutto per me, ma non sono riuscita a riposare bene a causa di rumori che mi facevano temere che qualcuno potesse intrufolarsi in casa, trovandomi in un quartiere piuttosto isolato e buio.

Dall’avventura ai guanti bianchi

Dopo una colazione “leggerissima” fatta con gli avanzi della cena, una sorta di base pizza richiusa con ripieno di tonno, pomodori, cipolla e olive, sistemo la moto e mi dirigo al punto di ritrovo. Nel frattempo che aspetto faccio il pieno e smonto tutte le borse, che andranno poi nel cassone del pick-up di Dario. Da oggi viaggio leggera e con mezzo appoggio e assistenza personale.

Altro che avventura, questo è un trattamento da guanti bianchi! 

Il primo tratto è tutto di trasferimento su asfalto. Facciamo una sosta al lago salato, che sembra più che altro un enorme bagnasciuga. Poi tiriamo fino a Douz, dove facciamo benzina a tutti i mezzi e riempiamo anche le taniche per la moto. Da qui non troveremo altri rifornimenti e l’autonomia del mio DRZ non è sufficiente a coprire i chilometri delle prossime tappe.

Ancora asfalto e finalmente arriviamo al Café La Porte du Desert, rinomato per i rallysti e dove tante volte è passato Fabrizio Meoni. Qui ci fermiamo per il pranzo, prima di addentrarci nel deserto.

Ok la pista, ma ce la farò a gestire la moto sulle dune?

Anche oggi con la traccia apro il gruppo

Costeggiamo la riserva del parco di Jebil e ci raduniamo puntando verso Tembaine. Il mio sistema di navigazione traccia mi indica che siamo fuori dal percorso di circa 700 metri, ma è divertente attraversare le dunette di sabbia. Pensiamo di procedere piegando un po’ verso sinistra fino a riprendere la pista, ma mi rendo conto che il percorso si fa sempre più impegnativo per i 4×4, mentre il suzukino mi porta senza fatica su e giù per dune sempre più grandi.

Distratta dal divertimento non mi ero resa conto che le jeep avevano ripiegato tornando un po’ indietro per riprendere la pista e ormai erano troppo lontane.

Decido di provare a scavalcare tutti i cordoni di dune perpendicolarmente fino ad incrociare la pista, e lì attendere il passaggio dei miei amici, convinta che mi avessero visto procedere.

Nulla, non li vedo più e non arriva nessuno. Saranno già al campo o ancora indietro ad aspettarmi?

Difficile decidere il da farsi e non voglio sprecare carburante. Fermo un 4×4 che procede in direzione opposta, dicendo al guidatore che se incontra un pick-up grigio, uno bianco e due jeep nere, di segnalare che li avrei aspettati lì.

Dopo pochi minuti passa un’altra jeep, stavolta nella mia direzione. Fermo anche questa per sapere se ha incrociato i mezzi del mio gruppo. Mi dice che non li ha visti ma che un pick-up bianco è bloccato nel cordone di dune, e mi indica la direzione.

Stefano e Sandra, penso.

Provo a percorrere la direzione indicata, ma senza riferimenti perdo presto la direzione, con il risultato che mi pianto miseramente in una duna. Con un po’ di fatica riesco a liberare la moto e torno sulla pista principale.

Se mi pianto ancora non solo non sono utile a Stefano, ma diventerei un problema anche per gli altri.

Sopraggiunge un altro gruppo di fuoristrada e chiedo anche a loro. Mi dicono che hanno visto i miei amici e che si stanno muovendo nella mia direzione. Finalmente riesco a vederli, e fortunatamente ci sono tutti, anche Stefano e Sandra.

Da qui la decisione che da domani una delle radio trasmittenti sarà affidata a me.

Arriviamo al campo in tempo per ammirare un bellissimo tramonto. Non si vede il sole andare giù, ma il cielo rosso fuoco in contrasto alle dune è di una bellezza infinita. In lontananza monte Tembaine, dove poco prima siamo passati con la pista.

La mia Blu e il deserto

Tolto l’inconveniente smarrimento, la cavalcata sulle dune è stata un’emozione immensa. Portare sulla sabbia del deserto quella che è stata la moto con cui ho iniziato i primi rudimenti di fuoristrada, è qualcosa che va al di là del puro e semplice divertimento, ha un significato più profondo. Due elementi che amo che si congiungono. La mia Blu e il deserto. Non so se si può essere ancora più felici di così, ma siamo già ad un gradino molto alto.

Completamente rigenerata da un sonno profondo e pronta ad una nuova giornata di deserto, mi viene affidata una delle radio e partiamo. Ripercorriamo indietro un tratto della pista di ieri e poi prendiamo un’altra traccia, puntando in direzione Ksar Ghilane.

Siamo partiti abbastanza tardi e i ritmi sono molto blandi oggi, anche in favore dei pochi chilometri previsti. Ci fermiamo in mezzo a delle dunette per un pranzo wild, godendoci uno splendido sole e una temperatura perfetta, poi, sempre con molta calma ci rimettiamo in marcia.

Poco prima di arrivare al forte di Ksar Ghilaine troviamo un cordone di dune che è letteralmente un parco giochi. Sia io con la moto che i 4×4 iniziamo a girare su e giù come se fossimo sulle montagne russe. Un piccolo errore di valutazione nella discesa di una duna e incrocio i solchi profondi della pista. Mi si pianta l’anteriore e giù a terra! Secondo parcheggio orizzontale del viaggio. Il primo era stato sul fango la mattina in cui sono ripartita dal primo pernotto, tradita da un asse di legno seminascosto dentro ad una pozza.

Soddisfatti da questa pausa ludica riprendiamo la rotta verso il forte, dove facciamo una breve visita. Auto, moto e schiere di quad che arrivano come trenini.

Scappiamo subito da questo caos e arrivati all’oasi decidiamo di non fermarci per la confusione che c’è.

Road to Zmela per capodanno

Si è fatto abbastanza tardi e percorriamo in alternativa alla pista prevista, una pista più veloce e battuta. La luce inizia a scarseggiare e con il permesso di Dario mi stacco dal gruppo per arrivare velocemente al campo.

Come se fossi in corsa con il cronometro, mi diverto ad andare a velocità piuttosto sostenuta. Avevo il sentore che stavo facendo una cazzata, dato che ero senza giacca e la temperatura iniziava a farsi fresca, ma mi stavo divertendo troppo per pensare di rallentare. Non paga, arrivata al campo con grande vantaggio sugli altri, ho continuato la scorribanda sulle dune intorno a camp Zmela, fino a che mi sono dovuta fermare perché effettivamente non vedevo più nulla e rischiavo inutilmente di farmi male.

La conferma che avevo fatto una cazzata arriverà poi con la tosse nella notte. Sudata e freddo uguale tosse. Sono delicata in questo e lo so, ma è una lezione che si vede non ho ancora imparato.

Qui a Camp Zmela abbiamo trascorso la sera di fine anno, tra musica, festeggiamenti e cibo discutibile.

Ancora più discutibili, per mia opinione, gli spettacoli degli acrobati su cammello e cavallo, e peggio ancora il fachiro sdraiato su vetri e spilli con tanto di persone che gli salivano sopra. Tralasciando questa parentesi, quello che conta davvero è che ho salutato il 2023 e dato il benvenuto al 2024 nel deserto, un sogno che avevo da diversi anni, ma che ancora non avevo realizzato.

La sorpresa non gradita di inizio anno, è una notte passata tra tosse, freddo e probabilmente febbre

Riposare bene non è stato possibile, ma mettendo mano alla farmacia che mi sono portata, mi rimetto in condizione di affrontare la giornata. Nel tempo che le Jeep si riassestano e chiudono le tende da tetto, io mi getto ancora una volta tra le dune. C’è modo migliore di iniziare l’anno? Per me attualmente no. 

In lontananza vedo le jeep pronte e torno velocemente al campo. Vedendomi arrivare partono subito, mentre io mi fermo un attimo per caricare la traccia di oggi.

PROBLEMA! La traccia non si apre e le jeep si sono già allontanate, tra le piccole dune tra cui serpeggia la pista. Non ho la radio e non posso avvertire dell’inconveniente, per cui tento di raggiungerle tagliando dritto per dritto. Un momento sembrano più vicine, un momento più lontane, poi sparite completamente.

Mi fermo a ragionare e mi ricordo che stamani avremmo probabilmente percorso al contrario la traccia che avevamo saltato ieri, e quella ancora ce l’ho caricata.

Obiettivo il waypoint all’oasi di Ksar Ghilane dove è prevista la sosta per fare rifornimento

Procedo più veloce che posso, nemmeno stessi correndo la Dakar. Cunette e whoops saltate, mettono a dura prova il mono della mia vecchietta, un po’ molle e non revisionato da tempo. Finalmente avvisto la comitiva in lontananza e posso tirare un sospiro. Facciamo il pieno a tutti i mezzi e alle taniche.

Il distributore qui non è altro che un fondo pieno di taniche di benzina e gasolio. Abbiamo per sicurezza utilizzato il filtro della Guglatech, anche se per fortuna abbiamo notato che non era benzina sporca. Se mai la verde era talmente verde da sembrare quasi olio extravergine di oliva appena spremuto.

Prima di ripartire lancio uno sguardo alla moto e mi accorgo che il terminale si è completamente girato con la parte ovale in orizzontale. Forse nella caduta di ieri si era un po’ piegata la staffa e stamani nei salti ha sbattuto sulla pinza freno, ammaccandosi e ruotando. Allentiamo il supporto e con un po’ di forza Dario riporta il terminale in posizione corretta.

Un team assistenza da vera rallysta! Moto sistemata, radiotrasmittente recuperata e ripartiamo.

La traccia fatta oggi che da Ksar ci porta a Matmata, da fare in moto è uno spettacolo! Un sicuro 90% in totale offroad. Non essendo riuscita a caricare la traccia non ho potuto spingermi avanti per poi attendere i 4×4, ma mi sono comunque divertita molto.

Purtroppo ad un certo punto è tornata probabilmente a far capolino la febbre, dolori un po’ ovunque e le forze mi hanno abbandonato. Non riuscivo più a guidare in piedi e mi sono letteralmente fatta portare dalla moto. Peccato non essermi potuta godere appieno tutta la giornata.

In arrivo a Matmata, io in condizioni un po’ traballanti, recupero la sacca stagna dal pick-up e vado a sistemarmi nella mia struttura, circa due chilometri e mezzo di distanza dall’hotel degli altri.

Alloggio in una struttura ricavata da una tipica casa troglodita e sembra molto bella, peccato sia già troppo buio per poterla vedere bene. La mia camera è una piccola cripta con due lettini scavati direttamente nella roccia, stanotte sarò una vera troglodita!

Mi rimetto un po’ in sesto con una bella doccia bollente, prima di raggiungere gli amici a cena, ma l’effetto rigenerante è durato poco e arrivo al tavolo che sono di nuovo ko. Non riesco nemmeno a mangiare quello che ho preso al buffet.

Fortunatamente Elisa ha con sé una Tachipirina 1000 che prendo subito. Dopo 15 minuti passati con la faccia ficcata dentro la felpa, riesco a riemergere e godermi un po’ la compagnia.

Dopo cena recupero le borse laterali dal pick-up di Dario e procedo al montaggio sulla moto. Riempiamo il serbatoio con la tanica e le due bottiglie e sono pronta a fare ritorno alla mia nicchia, dopo aver salutato tutto il gruppo. Sono stati davvero un’ottima compagnia per questi pochi ma fruttuosi e appaganti giorni di offroad.

L’ultima IMPEGNATIVA giornata!

Per sfruttare al massimo le altre poche giornate di tour a mia disposizione, in questa giornata ho dovuto affrontare un tour de force. Ne ero consapevole ed ero abbastanza preparata, specialmente caricata dalle bellezze viste nei giorni precedenti.

Ciò a cui non ero minimamente preparata era l’affrontare questa trasfertona di quasi 500 km con uno stato fisico compromesso. Colazione, due tachipirine da 500 e si parte, bardata da sembrare l’omino della Michelin, con gilet felpato, kway e giacca da sci.

Obiettivo, arrivare almeno tre ore prima della partenza del traghetto prevista per le 19.30. Tenendo in conto un lasso di tempo per imprevisti e soste carburante, alle 7.10 di mattina sono già in sella. Dopo 13 km trovo la prima stazione di benzina, dove faccio il pieno al serbatoio e delle due bottiglie da 1,5lt, che tengo ben salde legate tra telaietto e sacca stagna. Il prossimo rifornimento segnato sulla mappa è ben oltre la portata della mia autonomia. Entro in riserva dopo circa 180 km e dopo altri 37 km rimango definitivamente a secco.

Mancano circa 24 km alla stazione di servizio e utilizzo una sola delle bottiglie, giusto per garantirmi di arrivare a quella successiva.

Fatto di nuovo il pieno, volevo riempire di nuovo anche la bottiglia utilizzata, ma mi viene rifiutato e indicato il segnale di divieto. Per carità, ha ragione… Ma in un paese in cui ho visto persone circolare senza casco, con mezzi senza targa e carretti che viaggiano a bordo autostrada, mi è sembrato quantomeno un controsenso.

Ad ogni modo, fortunatamente, ora i prossimi rifornimenti sono più ravvicinati e alla portata dell’autonomia base della moto, per cui non me ne faccio un problema.

Mi concedo una pausa per riprendermi un po’, scaldandomi al sole. Poi riprendo il mio viaggio. Altra area di sosta dopo 125 km e altro pit-stop, stavolta un po’ più lungo. La copertura della tachipirina inizia a vacillare e non riesco nemmeno a mangiare granché.

L’unica cosa che mi sento di prendere è un sacchetto di patatine, e qui mi viene in mente l’amico Dakariano Jader Giraldi e la sua “Profezia della patata” (vi consiglio il suo libro “Devo fare la Dakar”). Adesso faccio come lui, penso.

Una patatina riparto, una patatina rimango e mi lascio morire al distributore. L’ultima patatina deciderà il mio destino.

Finisce invece che ne divoro una dietro l’altra senza pietà, triturando per la foga quelle sul fondo. Niente m’ama non m’ama con petali di patate fritte, butta quel sedere in sella e vedi di ripartire! Poche storie!!!

Ancora gli ultimi 90 km, percorsi tra i 110 e 120 km/h a seconda della pendenza dell’autostrada, schiacciata più possibile in posizione aerodinamica sulla moto. Ci siamo! Sono a Tunisi!

Faccio un ultimo pieno alla Blu prima di andare al porto. Qui la benzina costa poco più di 60 centesimi al litro e quanta ne riesce a portare il serbatoio, tanta ne cerco di caricare. Sapessi dove legare delle taniche riempirei anche quelle, ma pare comunque che sia vietato portarle a bordo in traghetto, per cui libero anche della bottiglia rimanente rovesciandola nel serbatoio. 

Quando arrivo al cancello di imbarco sono uno straccio

Altra dose di Tachipirina, metto il cavalletto alla moto e mi accascio su di di essa in attesa dell’apertura. La procedura di dogana e imbarco è, se possibile, anche peggio dello sbarco, ci fanno girare come criceti sulla ruota. Uno guarda il passaporto, poi ti mandano da quello che guarda il foglio blu, poi un altro che lo timbra, un altro che lo ritira, uno che ti fa passare la fila di auto, uno ricontrolla ancora il passaporto e ti ferma in cima alla fila di auto, quello che ti aveva fatto saltare la fila che ti guarda come a dire “ancora sei qui? Vai!” e io che penso “sì, ma decidetevi!”.

Finalmente sono nelle file di imbarco sotto al traghetto, mi controllano ANCORA il passaporto e mi fanno cenno di passare di nuovo la fila delle auto.

A questo punto il sogno di riuscire a guadagnarmi una poltrona vera dove sdraiarmi per la notte è grande, ma si infrange subito quando inizia l’imbarco e il posto dove legano le moto è occupato da degli enormi cingolati. Mentre mi tengono ferma lì ad attendere lo spostamento dei bestioni, posso ammirare la quantità di auto che entrano prima di me e “addio poltrona, è stato bello sognarti”.

Rimossi i cingolati posso finalmente lasciare la moto, ma come immaginavo mi dovrò accontentare di un posticino a terra, ai lati del corridoio di accesso all’area ristoro del ponte cinque. Poco importa, sono così stanca che mi basta riuscire a stendermi, ovunque sia. Creo un fondo buttando a terra giacca e pettorina, e vi adagio il sacco a pelo. Lo zaino sarà il mio cuscino. Tachipirina e buonanotte. 

Peccato per il finale travagliato per la febbre, ma è stato un viaggio stupendo, anche se “compatto” per i pochi giorni a mia disposizione. Ne è valsa la pena al 100%, e rifarei tutto esattamente allo stesso modo!

Ah… soffro anche il mal di mare e indovinate come era il mare nel viaggio di ritorno? Va beh, avete capito!

Alla prossima avventura
La Vostra Apprendista Endurista e Motoviaggiatrice
Elisa Gallorini

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