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Transpirenaica: la “dos mares”

Ci sono viaggi, esperienze che ogni adventure biker degno di tale nome ha inserito a caratteri cubitali nella lista delle cose da fare prima d’impennare per altre destinazioni a noi sconosciute: la Via del Sale e la Transalpina in Italia, la Strategica in Romania, la Via della Seta tra Europa e Asia, la Transamericana in America, solo per citarne alcune.

In Spagna, l’avventura d’eccellenza che un motociclista non può permettersi di perdere è la Transpirenaica.

Chiamata anche dagli autoctoni “la dos mares” (la due mari, ndr) consta in circa 1.150km di percorsi dal Mediterraneo all’Atlantico (o al contrario) attraversando tutti i Pirenei che siedono imponenti sul confine tra Spagna e Francia.

Prima di raccontare, rivivendola, questa magnifica avventura… lancio qualche numero che, nonostante spesso possa risultare “asettico”, dà una idea più figurata dell’esperienza:

  • il 60% dei chilometri si sviluppa a quote maggiori di 1.000 metri slm 
  • un buon 30% sopra i 1.500 metri slm
  • per ben nove volte, abbiamo superato i 2.000mt slm
  • il punto più alto raggiunto in moto è stato il Pic Negre vicino Andorra con i suoi 2.652 metri slm
  • il sali-scendi di vette e passi ci ha fatto accumulare 31.449 metri di ascesa e 31.398 metri di discesa
  • la temperatura media è stata di 23 gradi, variando dagli 8 ai 39
  • il tempo in sella di circa 8-10 ore al giorno
  • una gomma bucata, un terminale di scarico quasi perso, un cupolino spezzato in due per una pietra volante, una decina di cadute di alcuni componenti del gruppo, un tenda volata la notte con il vento, un coppia pastiglie freno posteriore terminata, un cinghia della borsa laterale spezzata, un po’ di tasselli lasciati a ricordo per la strada ed una escursione di 2kg di peso tra le calorie bruciate di giorno e non recuperate nelle soste pranzo “touch&go”, ma abbondantemente ricompensate dalle cene caloriche tipiche dei paesini di montagna accompagnate da ottime bevande (altrettanto caloriche) che ben coadiuvano il sonno notturno, soprattutto se il vicino di tenda od il compagno di stanza è soprannominato “Ronco Siffredi” (“roncar” in spagnolo significa russare, ndr).

Terminata la sequela di dati e statistiche serviti a rompere il ghiaccio, è forse giunto il momento di scaldare l’ambiente raccontando l’esperienza e cercando di farla vivere anche a voi nell’intento di farvi venire l’acquolina in bocca o meglio il prurito alle mani.

È un paio di anni che ho scritto “Transpirenaica” nella mia wish-list insieme ad altre avventure. Un po’ per il suo lato romantico che sempre mi ha affascinato, un po’ perchè vivendo ai piedi dei Pirenei da più di sei anni (e praticamente alla partenza del percorso, sul mare) li conosco con una certa confidenza.

L’idea originaria era di percorrerla in solitaria, un Cammino di Santiago sponsorizzato Akrapovich anche per espiare i demoni che si nascondono in noi e che in determinati momenti della nostra vita cercano di avere la meglio; sempre ho pensato, da quando vado in moto (quasi 30 anni), che un viaggio su due ruote vale sempre come due: uno con il nostro mezzo e uno dentro se stessi.

Insomma, “tù is meigl che uàn”. 

Successivamente, parlando del più e del meno durante una pausa pranzo di una uscita con un gruppetto di ragazzi della zona, mi son fatto scappare l’idea con il classico entusiasmo che mi contraddistingue quando parlo di qualcosa che mi emoziona e alla fine sono passato da “lone rider” a “tour leader” in un paio di Cervezas, lottando coi miei demoni e quelli degli altri!

Il gruppo

Partiamo in nove. Qualcuno dichiarato a priori solo per un giorno, qualcun’altro per un paio o fino a che l’artrosi (e la moglie) avesse bussato la porta. Lo zoccolo duro, due persone, erano determinate ad arrivare con me sino alla fine senza detours, passi quel che passi: Bernard con una KTM 790 Adventure R (detta la friggitrice, visto che già un paio di volte si è dovuto fermare perchè la benzina bolliva letteralmente nel serbatoio) e Fabian, con una BMW GS 1200 Adventure.

Un team perfetto: Bernard, ingegnere, pragmatico, calcolatore e creatore di permessi al volo per le zone dove si necessitava di autorizzazione. Fabian, fisioterapista, una figura imprescindibile visto l’età media del gruppo.

La tradizione della “dos mares” vuole che si prenda un po’ di acqua del Mediterrano e la si versi, all’arrivo, nell’Atlantico (per essere precisi, nel Cantabrico). Rendevouz quindi in spiaggia a Empuriabrava, località dove vivo e dove ho organizzato la colazione in un bar fronte mare alle 7 del mattino previa fotografia di gruppo sulla battigia e “furto” di acqua mediterranea.

Caricate le pile e abbracciata la fidanzata che tutt’ora mi sopporta da dieci anni e che è venuta appositamente in spiaggia per farci qualche foto e video (sono un uomo fortunato), iniziamo il tour con un percorso che conosco a memoria ma che mi emoziona ogni volta. Percorriamo la Comarca dell’Alt Empordá fino a iniziare la scalata della fascia Prepirenaica con entusiasmo.

Ho otto persone dietro quindi mantengo il ritmo costante ed una velocità comoda per tutti. Con un paio di cadute “stupide” di due componenti del gruppo superiamo i pre-Pirenei e sostiamo per un pranzo rapido alla porta d’ingresso del nostro obiettivo: i Pirenei.

Il percorso

Ahimè, la prima pista forestale che tocca i 2.100 metri è chiusa per manutenzione. Fortunatamente, avevo già portato tutti in questa zona quindi il doverla saltare non spegne l’entusiasmo che si mantiene alto; e poi un altro 2.000 ci aspetta in meno di un’ora.

Questa prima giornata, soprattutto nella seconda parte, è come degustare un buon Brunello di Montalcino davanti al camino di una uggiosa giornata autunnale:

paesaggi di alta montagna ci scorrono davanti agli occhi con tutte le loro peculiarità, canaloni verdi di praterie, alpeggi di mucche e cavalli tra i quali passare, le aquile nel cielo a darci il benvenuto e qualche marmotta che spunta fuori per cercare di capire se è il terremoto o qualche intruso a farle tremare la casa.

L’accampamento…

Dopo aver attraversato una pista da sci tipica della zona, arriviamo al campeggio per la notte con il contachilometri che marca 235km. Si, abbiamo con noi tenda, sacco, materassino, cuscino e tutto il necessario per ottenere la medaglia di “boy scout dell’anno”. La componente “avventura notturna” finisce presto: l’emozione di accampare come giovani esploratori inizia a vacillare quando, nonostante siamo arrivati con il sole, iniziamo a montare l’accampamento zingaro (otto tende) e a metà del lavoro le maledizioni delle marmotte fanno cadere dal cielo gocce dense come un w40.

Sì, avevamo appena steso le cose sudate e la tenda ancora non aveva il telo impermeabile. Risultato: cinque minuti di temporale con improperi di contorno, un’ora ad asciugare sacchi a pelo, calze e quant’altro nelle docce del camping. Il “mood” della cena in loco coadiuvato dall’alto entusiasmo e dalla riserva di energie ancora piena (e da qualche bottiglia di vino) ci hanno fatto passare sopra tutto, in particolare sopra il concerto notturno del pre-citato Ronco Siffredi che per la notte ha trovato altri due componenti della band di grosso calibro. 

Il secondo giorno

Iniziamo il secondo giorno dopo una ricca colazione, alleggeriti di tre componenti del gruppo: destinazione un “pueblo” di montaña 50 km a ovest di Andorra, non prima però di conquistare la vetta dell’obiettivo numero uno del giorno e del viaggio, il Pic Negre.

È la terza volta che salgo qui e ogni volta è amore e passione: una salita costante di qualche chilometro, non estremamente difficile ma non adatta proprio a tutti, con una parte terminale dalla pendenza considerevole composta di terra e pietre nere che ci fa svettare a 2.652 metri slm e godere di una vista mozzafiato. A un paio di chilometri da qui, seguendo la cresta della montagna, una furgonetta Volkswagen arrugginita abbandonata 30 anni prima trova rifugio e si eleva a meta di pellegrinaggio per molti “offroaders” che nella bella stagione vengono a scattarsi una foto.

Le prime deviazioni

Siamo in alta montagna, non si scherza, quindi è sempre buona cosa valutare il meteo prima di arrivare fino a qui (e le condizioni della moto e del pilota). In questo caso, le condizioni dei piloti erano abbastanza provate: un paio di ore prima d’iniziare la salita, ho dovuto cambiare percorso per un problema di strade chiuse e ho utilizzato una traccia che mi ero costruito qualche mese prima. Risultato: tre ore per percorrere due km.

Mi sono divertito come un matto, ma la responsabilità di avere persone dietro di diversa esperienza ha un po’ esaurito le mie energie mentali nel supportare la discesa per questa mulattiera stretta che non avevo calcolato, composta da radici di alberi prima e scaloni di pietra da enduro e canaloni scavati dall’acqua anche in curva dopo, senza la possibilità di girare agilmente la moto e con la ben più estrema difficoltà di farla in salita nel caso.

Tutto va per il meglio e dopo aver fatto più chilometri a piedi su e giù per il sentiero che in moto, arriviamo nella civiltà e ci permettiamo una Coca Cola rapida ancora adrenalinici per l’esperienza vissuta.

Il passaggio da Andorra

Attraversata Andorra, altri due componenti del gruppo ci abbandonano e restiamo in quattro diretti verso la meta notturna che, per via del ritardo accumulato nella mulattiera, giocoforza cambia fermandoci 60km prima della destinazione che avevo previsto. “No pasa nada” (non succede nulla, ndr): nell’era della tecnologia basta aprire la prima app come Booking.com per trovare subito tutte le location nella zona indicata. Salutiamo tenda e compagnia danzante e ci tuffiamo sotto una doccia calda e in un letto soffice che ci siamo ben meritati. Tempo di scaricare foto, video e scrivere qualche appunto ed è già giorno, il terzo!

Il terzo giorno

Partiamo di buona lena per cercare di compensare le due ore di ritardo del giorno precedente ma veniamo ritardati da una mandria di cavalli selvatici che percorrono con noi la stessa strada che in un paio di chilometri ci consentirà di iniziare ad addentrarci nella montagna e abbandonare l’asfalto. Ritardo comunque ben trascorso: non stiamo facendo nessun raid, ma godendoci una avventura indimenticabile.

Percorriamo una lunga pista da sci di una nota località sciistica oltrepassando ancora i 2.000 metri e alla discesa ci dà il benvenuto la Valle d’Aràn, meta ben conosciuta dagli amanti dello sport e della montagna con il 30% della superficie ad altitudini maggiori di 2.000 metri. Oggi un paio di tratti tecnici di pietra ma per il resto piste tutto sommato in buono stato. Paesaggi, sì, che ancora una volta mi fanno dire “questo percorso è il più bello che abbia mai fatto!”

Ci fermiamo quindi in zona per la notte e, uno a uno, troviamo una scusa per dire “ciaone” alla tenda e trovare un hotel economico. Tranne Fabian: lui ancora opta per la tenda. Ha 28 anni, ben meno che gli altri. Allora troviamo noi una scusa per lui e lo obblighiamo a trovare una stanza con la minaccia di bucargli le gomme. Passiamo una notte rilassata, dopo un paio di gin tonic in una località di montagna rinomata dove abbiamo trovato un hotel da 30€ con colazione e siamo ancora pronti per un’altra giornata meravigliosa.

E arriviamo al quarto…

Pulita e ingrassata la catena, partiamo con il meteo che ci appoggia ancora una volta: semi-soleggiato e senza vento. Perfetto. La giornata di oggi sarà interamente attraverso i Pirenei Aragonesi, considerati la mecca dell’alta montagna spagnola. Ospitano infatti la vetta più alta di tutti i Pirenei, il Pic del Aneto (3.404 metri slm) e altre 188 vette oltre i 3.000.

I Pirenei aragonesi conservano le tradizioni, l’architettura popolare delle proprie città, alcuni dei paesaggi più spettacolari della penisola e un’impressionante ricchezza di fauna e flora. In questa zona sopravvivono gli ultimi orsi bruni, nidifica la più grande comunità di gipeti d’Europa e trovano posto specie uniche come la pernice bianca, l’aquila reale, il falco pellegrino e il fiore di stella alpina.

Aree protette e parchi naturali, grandi montagne e ghiacciai che ricordano l’origine della catena montuosa, laghi, fiumi selvaggi, burroni che invitano all’avventura, vallate maestose, prati e boschi compongono un territorio di grande bellezza; percorrerli tutti nel cuore, col cuore, è senza prezzo!

Trascorriamo la notte nella piccola cittadina di frontiera di Canfranc, molto conosciuta per la sua stazione ferroviaria che, completata nel 1928, era molto all’avanguardia a quel tempo; era l’unica ferrovia a scartamento europeo in territorio spagnolo, era elettrificata secondo gli standard francesi e aveva lungo la sua tratta una delle più grandi opere d’ingegneria naturalistica reimpiantando su entrambi i lati dei Pirenei varie specie arboree. Avendo recuperato le due ore perse il secondo giorno (in questa tratta, la percentuale di offroad -legale- è solo del 50%), ci prepariamo per arrivare all’Atlantico nei tempi prestabiliti.

El último día

L’ultimo giorno, ancora è composto da paesaggi incredibilmente scenici e spettacolari tra i Pirenei di Navarra e Paesi Baschi, percorrendo un paio di trami del Cammino di Santiago (e, nonostante l’andare a passo d’uomo, ricevendo un po’ di sguardi non compiacenti da alcuni backpackers) fino a svalicare in Francia.

Ecco, qui riceviamo uno schiaffo in pieno volto dal meteo: passiamo in poco tempo dai 20 gradi ai 39! E con il caldo, dopo alcune curve di asfalto, un paio di mulattiere e alcuni avvoltoi che ci hanno seguito per un paio di km (nel mentre, ci siam toccati) entriamo nel cuore della destinazione finale: Hondarribia, cancello d’ingresso di tutti i Transpirenaici e località turistica rinomata dalle splendide spiagge su mar Cantabrico e oceano Atlantico.

Arriviamo stanchi ma estremamente felici e dopo aver fatto le foto di rito e aver versato l’acqua presa dal Mediterraneo alla partenza, ci fiondiamo vestiti da guerrieri con armature e corazze nel primo bar che troviamo: la gente in costume, noi con 10kg di roba addosso e pieni di terra, fango e qualche foglia presa qua e là. Una birra fresca non ce la toglie nessuno!

Dopo 1.177 km e circa 48 ore di guida, ci sentiamo dei Don Chisciotte e come lui, decidiamo di fare una siesta di un giorno prima di rientrare, ahimè per strada, verso casa.

Un’altra esperienza e avventura fantastica è stata scritta nei libri delle nostre vite e i demoni hanno fatto vacanza per qualche giorno. Il viaggio in moto scorre come un film nella mia mente e come sempre, ho imparato ancora qualcosa in più di me stesso.

Avendo citato il Don Chisciotte, mi congedo con una delle sue frasi:

“fa’ che sia il tuo compito conoscere te stesso, che è la lezione più difficile al mondo”.

Vi aspetto quindi per ripercorrere la Transpirenaica, carichi ed entusiasti!

Testo e foto: Andrea “Fast “Scaramuzza

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