24MX

Transpeninsular: dalle Alpi ai Pirenei

A dire il vero è da un po’ che pensavo a questo viaggio: dall’ultima volta in cui, nel 2019, andai in moto a trovare mia madre in Italia partendo da casa mia in Spagna. Amo l’off-road, ma non disdegno ogni tanto un giro stradale e quindi: rimonto il pignone originale alla mia 800GSA, metto il secondo set di cerchi con pneumatici stradali (dopo aver levato la polvere), sella originale, valigie rigide del buon giessista, completo Clover Laminator antipioggia, insomma, un bel figurino.

Per ridurre al minimo l’inconveniente della monotonia, aggiungo un pizzico di avventura: solo strade secondarie e zone panoramiche, wild camping e vietati bar o ristoranti. Insomma, ho distrutto la figura del giessista in partenza.

1.200km in due giorni da circa nove ore ciascuno di curve e paesini, un wild camping nel mezzo del Verdòn sulle rive del Lac de Sainte-Croix e lo spirito di Cannavacciuolo a guidarmi nel mescolare la bustina di zuppa liofilizzata mista moscerini nella dépandance della mia tenda Decathlon da 19,99€ non sono comunque riusciti a distogliere lo sguardo dall’infinità di sterrati che incrociavo di volta in volta, oggetto di “voglio ma non posso”; più dell’insegna “Bière” fuori dai bar (beh, non esageriamo ora).

Sorseggiando quindi un’ottima doppio malto acquistata al supermercato, ma rigorosamente bevuta in tenda, il delirius tremens inizia ad illuminare, insieme alla torcia frontale, la possibilità di percorrere un “casa-casa” utilizzando almeno per metà strade sterrate nel pieno stile adventure.

Navigando su internet e tra i pensieri, mi ritrovo a navigare anche tra i sogni e presto si fa mattino.

Una volta rientrato, non ho abbandonato l’idea mettendola in stand-by nel cassetto delle cose che vorrei fare; poiché, probabilmente, quel cassetto ha terminato la capacità da tempo, il “casa-casa” me lo sono ritrovato tra i piedi frequentemente. Mancava solo una cosa: vista la natura off-road reale del viaggio, lungi dal fotografare quattro sentieri e vendere il 99% di strade come adventure e, vista la componente avventura, nonostante abbia montato una traccia verosimile unendo Trans Euro Trail, Going Limbo, tracce che avevo e un po’ di lavoro sulle mappe, a chi avrei potuto proporre la “follia” di condividere l’esperienza?

2.500km con molti interrogativi sulle condizioni reali dei percorsi, difficoltà, legalità, meteo e… Covid… mi orientavano su circa due settimane. Una media giornaliera di 200km e un paio di giorni di sosta per turismo e per “depuzzarsi” dalla fermentazione di pettorine, stivali, magliette e quant’altro. Sì ok e anche per respirare un poco visto che qualche capello bianco ha iniziato a spuntare.

Inoltre, siamo in periodo Covid, potrebbero respingerci alla frontiera, chiederci prove infetto logiche, rinchiuderci in quarantena ed esiliarci visto come vanno le cose. Di fatto, dopo giorni di temperature patagoniche lo starnuto era all’ordine del giorno! E poi, due settimane in moto, anzi tre visto la concomitanza dell’evento Mosterrato Adventouring a cui partecipavo come istruttore off-road, via dalla famiglia e dal lavoro.

Bene, io sono in stato lavorativo “vaffancovid” e il tempo non mi manca; e nemmeno manca la fortuna di avere una compagna di vita che mi appoggia, addirittura spinge (sarà che mi vuole fuori dalle…?) in tutte le avventure. Grazie al corso off-road e alla vendita del mio paracadute per, ormai, cessata attività, quattro soldi da investire li ho anche.

Tutta questa trafila di necessità a dire il vero ha più connotazione di contorno o farcitura, o forse di scusa per evitare di auto convincermi troppo e partire appena tornato da una settimana attraversando tutti i Pirenei off-road. Perché? Perché sin dall’inizio sullo schermo della mia mente un pop-up sempre più insistente mi ha sempre visualizzato la stessa persona: il mio fido scudiero, il Sancho Panza con la KTM, il Watson dei percorsi: Bernard! (ormai detto Nicolas).

E quando mai si è rifiutato il Berny di fare qualcosa relazionato alla moto ed all’off-road? Ricevo un “ok” ancor prima di dire “vorrei portare la tenda per campeggiare” e mi tocca mediare (che poi è anche andata di lusso visto il tempo che abbiamo trovato) arrivando alla conclusione: non programmiamo nulla però andiamo in b&b. Affare fatto.

Il duetto diventa poi terzetto grazie alla partecipazione del master&commander Pifa, 64 anni di esperienza, ex pilota di velocità off-road e -vero- giessista: la strada la tocca solo per entrare in garage. Armato di una 1250GSA che pesa quattro volte lui, si destreggia tra le mulattiere come una capra tibetana e con la leggiadria di una libellula frontenera, facendoci sempre sentire degli alpaca cavalcando un pony.

Il ritrovo ufficiale è a casa di “mammà” per rifocillarsi (speravamo meno) in vista del viaggio, nel quale sicuramente avremmo perso peso (grazie alla Francia, abbiam guadagnato 3kg). Dopo due giorni “italiani in famiglia”, dopo un cambio gomme e la verifica di tutto il materiale, siamo finalmente pronti a partire l’indomani, il 23 di settembre.

Il meteo decide di infierire con il suo ghigno malefico e ci paventa dinnanzi una ondata di pioggia, neve e freddo su mezza Europa; proprio la metà nella quale siamo noi. La decisione è semplice: altri giorni di “italiani in famiglia” con conseguente cambio taglia o sfoderiamo la spada taglia pioggia, accendiamo i fendi nebbia e partiamo di buona lena?

Usciamo di casa in quel di Busto Arsizio la mattina alle 08:30 già con l’antipioggia e i fendinebbia accesi visto il tipico cielo padano e ci dirigiamo verso il novarese di Gargallo dove entriamo nel primo sterrato che ci porta ai piedi della Valsesia. Giusto per iniziare, troviamo un sentiero chiuso per manutenzione ma riusciamo a passare aggirando la scavatrice ed in un cunicolo di sentieri tra fango e pietre, nonostante il tempo inizia ad apparire il sorriso.

Un’altra escavatrice all’opera ci apre il cammino dai rami appena tagliati (grazie!) e tra una tracciata e l’altra arriviamo sino a Vercelli costeggiando il fiume Sesia e sgommando da un campo nomadi appropriatisi di una zona in cui non volevano passassimo (zona di passaggio perfettamente legale). Sosta pranzo rapida e continuiamo il percorso.

Di qui a poco ci saremmo imbattuti in un punto “hard” in zona Veneria descritto come “molto ripido e con molte pietre” che grazie all’amico Paolo Canova, profondo conoscitore della zona, e visto il meteo, abbiamo deciso di bypassare per evitare problemi il primo giorno. Questo non ci ha fatto desistere dall’entrare sino al punto in senso contrario per capire cosa ci saremmo persi: a dire il vero, nella nostra direzione avremmo potuto farlo nonostante le borse perchè sarebbe stato in discesa e con attenzione ed esperienza non ci avrebbe dato problemi; ma, con davanti altri 2400km, abbiamo fatto la scelta corretta.

Un muro con il 100% di pendenza di una strada in costruzione che abbiamo dovuto (voluto) salire e poi scendere dal lato opposto ci hanno comunque garantito l’adrenalina quotidiana (sempre sia lodata) e una notte in un ottimo b&b in Candia Canavese dopo 275km.

Il secondo giorno

La seconda mattina partiamo ancora di buona lena e, nonostante la volontà di -non- programmare mai dove avremmo sostato per la notte, l’obiettivo è di arrivare ai piedi, o comunque vicino, all’entrata della galleria dei Saraceni. Il meteo ancora non ci aiuta e i percorsi prendono una connotazione differente rispetto al primo giorno: la mattina molti boschi fitti e fango dove seguire la traccia è più complicato, una mulattiera a 600 metri usata come campo per bici da downhill molto scivolosa in zona Forno Canavese dove tracciare canali scavati dall’acqua e una “scalata alla vetta” fino al rifugio Alpe Soglia di Corio a 1.723 metri con vento, nubi basse e freddo glaciale.

La giornata è più lenta rispetto alla precedente. Solo la sosta pranzo alla discesa è riuscita a darci una parvenza di “focolare”, forse grazie alle cameriere di bella presenza che con tanta leggiadria ci hanno messo in tavola fagioli con le cotiche, costolette di maiale e crema catalana, quasi a volerci sabotare la giornata.

Raddoppiando giocoforza l’Akrapovich causa fagiolata, decidiamo di tagliare una parte del percorso perchè pienamente sommersa in minacciose nuvole nere. Proseguiamo quindi verso sud-ovest fino a Lemie dove prendiamo uno sterrato che ci permette, nel versante nord, di trovarci sopra le nuvole e goderci uno spettacolo entusiasmante nonostante i 3 gradi.

Svalichiamo a 1.888mt sul Colle del Colombardo, valico alpino delle Alpi Graie che collega la bassa Valle di Susa con la Valle di Viù, con uno schiaffo di vento gelido in pieno volto e la mulattiera in discesa avvolta dalle nubi. Arriviamo infreddoliti e un po’ provati e troviamo riparo dalla pioggia in un hotel alle porte di Susa dopo una giornata da circa 180km.

Il terzo giorno e la deviazione

Dalle previsioni meteo e dai consigli dei motociclisti locals, a malincuore decidiamo che il terzo giorno, inizialmente dedicato a Saraceni, Jafferau e Sommelier, dovrà prendere una direzione contraria: vento forte e neve non sono una opzione quando si parla di alta montagna. E poi, per quanto splendidi, sono posti che abbiamo già visto e che sempre ci attenderanno. 
Nella zona di Sestriere nevica copiosamente, portando alla chiusura di alcuni valichi. Andiamo in direzione Monginevro con l’intenzione di arrivare in zona Gap-Tallard. Proviamo a prendere un primo sentiero vicino Deveys, ma il vento quasi ci butta giù dalle moto. Passiamo la frontiera e il tempo migliora: il vento riesce a pulire il cielo anche se restano 4 gradi di temperatura.

Arriviamo per asfalto sino allo splendido lago di Serre-Ponçon, sostiamo per mangiare un panino e prendiamo una pista sterrata alle spalle di Savines-le-Lac che vale tutta la giornata: una splendida pista forestale rapida che porta ad un punto di osservazione dove poter godere di una vista che ripaga di tutto il freddo ed il mal tempo senza dubbio alcuno.

Questa sera, inizierà un po’ l’odissea degli hotel: dalla zona montana di Gap, nelle alte alpi francesi, fino quasi ad arrivare in zona Pirenei, trovare un hotel inizia ad essere difficile; molti sono stagionali e quindi chiusi, i paesini si fanno sempre più “paesini” con distanze maggiori tra loro e stradine di montagna a collegarli, la pioggia non ci abbandona. Troviamo comunque riparo in un hotel disperso tra le campagne dove cenare ci è costato il doppio che pernottare (Francia), ma almeno abbiamo riposato, seppure in una stanza completamente rosa.

Il quarto giorno e il malaugurio

Dopo colazione, come da prassi indossiamo l’antipioggia (a Bernard va meglio con un Rev’it in Goretex) e riprendiamo il cammino: fa freddo, ci sono 5 gradi ma almeno il cielo è terso e il sole ci riscalda leggermente, sebbene di un calore platonico. Iniziamo una strada sterrata in salita abbastanza rapida e in buono stato e tutto lascia presagire del buon off-road fino al prossimo centro abitato al di là della montagna.

Incontriamo poi in una curva “l’oiseau” (l’uccello, ndr) del malaugurio: un tipo con una enduro quattro tempi che si presenta come guida francese e il suo cliente ricoperto di fango fino ai denti. Il quadretto che ci troviamo di fronte annienta in un baleno il presagio roseo come la camera dell’hotel. Ho imparato un po’ di francese vivendo in Spagna quasi al confine e normalmente capisco tutto ma, vuoi per il freddo, il casco e il fango tra i denti del tizio, intendo solo

occhio, fango, 2km,plateau”

La visione non è delle migliori ma continuiamo imperterriti, senza aver compreso se mancano 2km al fango o ci sarà fango per 2km.

Dopo 16km “svettiamo” dopo aver incontrato effettivamente del fango con canali di 4×4 passati nel mentre e qualche zona scivolosa. Grazie all’intercomunicatore, parliamo sempre tra di noi e giusto stavamo ridicolizzando la presunta guida con il discepolo sull’effettiva presenza di fango tale da sentirsi in dovere di avvisare, fino a non riuscire a completare la frase che Pifa con la 1250 sembra più spingere una carriola: la ruota anteriore è completamente bloccata.

Ecco, arrivati al suddetto plateau con temperatura di 1 grado il fango diventa cemento: presente quel fango che dopo quattro passi finalmente sei alto quanto speravi di essere? Per farla breve: due ore e mezza per percorrere 1km. Alla 1250, dopo innumerevoli tentativi di rimuovere il “mattone” di fango tra pneumatico e parafango che in un batter d’occhio è diventato compatto, abbiam dovuto rompere quest’ultimo per poter far girare la ruota.

La 790 Adventure R di Bernard, che teoricamente è “ready to race” ma ultimamente sembra più “ready to officina”, resta altrettanto bloccata ma con la ruota posteriore: il paraspruzzi che monta tra ruota ed ammortizzatore ha fatto accumulare del fango che blocca la ruota. E io? Io con la mia Charlotte fortunatamente non ho avuto nessun disagio: le gomme nuove con un ottimo tassello anteriore (Mitas C17 + Mitas E09) evacuano bene, il parafango più sottile della 1250 altrettanto e l’assenza del paraspruzzi posteriore mi fanno continuare; anche il coperchio pignone pare non avere problemi.

Mi lamento sempre del peso della mia 800GSA, maggiore rispetto ad una 1200 per collocazione dei pesi, ma ogni volta mi sorprende. Guardo bene le mappe ed essendo a circa 1.600mt anche la situazione meteo a vista, curando le nubi in movimento e la loro consistenza e direzione. A occhio, ci mancano 6 km per arrivare a una strada: come saranno? Se sono tutti cosi’, ci aspetta un’odissea.

Siamo al Col de Peyssier, vicino all’omonimo lago (Barcillonette). Le ultime nubi iniziano a prendere più corpo e forma: sembrano un dito che ci indica la direzione opposta. Decidiamo quindi di abortire il valico e tornare indietro: buona scelta perchè iniziare pure a nevicare. Per risparmiarci un po’ di fango, passiamo per il campo dove il fondo è effettivamente più compatto (anche se pieno di letame) ma il maestro Pifa ce ne combina una: non vede uno dei cavi elettrici di confine per gli alpeggi e ci entra con la moto.

Il cavo si infila tra ruota e parafango e tocca fermarci per trascinare la moto indietro. Nel mentre, nevica. Ciliegina sulla torta? Come Bernard ed io afferriamo la moto per trascinarla, ci arriva una botta di corrente che ci fa saltare sul posto. Ecco! Mezz’ora per togliere la moto da lì tra scosse nelle braccia e nel “didietro” visto che tra lacrime di risate isteriche Pifa, l’incaricato di tenere separato il cavo dalla moto con un bastone di legno, ogni tanto se lo lasciava scappare e finiva sulle nostre nobili natiche facendoci scalciare nella migliore ricostruzione di una tarantella siciliana. Mentre nevica ancora.

Riusciamo a evadere infreddoliti da questa prigione di fango ripercorrendo la pista al contrario e proseguiamo fino a trovare un posto dove mangiare, ben difficile in Francia alle 14 e per giunta in zone dimenticate da Dio. Proseguiamo la giornata senza altre particolari difficoltà sino a trovare, durante un’ora e mezza di ricerca sotto la pioggia, un posto dove dormire.

Passiamo la notte a Die, un paesino molto strano con gente molto strana e, chiaramente, un unico albergo decisamente strano.

Cercheremo di dimenticare il posto, soprattutto il freddo ed i due letti da una piazza e mezzo. Abbiamo indotto una gara di vodka-tonic: chi regge dorme solo. Mi ritrovo a dormire natica-natica con Bernard, cercando di accordarci su che lato -non- girarsi previa autorizzazione. La notte passa senza inconventienti, fortunatamente.

Il quinto giorno: verso l’Occitaine

Il quinto giorno resuscitiamo e senza nemmeno guardare fuori dalla finestra indossiamo l’antipioggia. La giornata scorre abbastanza veloce con un ottimo ritmo: di 250km ne percorriamo 170 di sterrati; il tempo non è dei migliori ma fortunatamente troviamo poca pioggia ad accompagnare gli onnipresenti quattro gradi. Oggi lasciamo la regione dell’Auvergne Rhône-Alpes per entrare nell’Occitania (ex Languedoc-Roussillon-Midi-Pyrénées).

Gli scenari sono fantastici quanto variati: attraversiamo il parco naturale regionale delle Baronnies provenzali e la incantevole campagna della Languedoc con sterminati campi di lavanda (che solo immaginiamo visto che la sua fioritura normalmente termina a fine luglio) per poi risalire la zona montana a nord della Camargue passando per le gole della riserva naturale delle Gorges Ardèche fino ad arrivare, sotto la pioggia, alla zona montana del parco nazionale delle Cèvennes dove ricomincia la tiritera di ricerca dell’hotel.

Sempre a fatica, ci indicano l’unico posto aperto a 9 km nord di dove siamo, ad Altier, a circa 800mt slm. Ci si presentano di fronte quattro casette di legno al piano rialzato: già mi vedo a dover accendere il camino con il nonno di Heidi per scaldare l’acqua in una pentola e farmi una doccia calda. Dicono che il nonno è in pensione e, seppur non trovando Heidi, quando aprono la porta di una delle casette abbiamo un miraggio: nonostante sia, ancora, tutto rosa e pieno di cuoricini, la camera è spaziosa, pulita e davvero accogliente!

Anche la cena e l’aperitivo sono stati degni di una ottima serata in compagnia e il prezzo, il migliore dell’ultima settimana. Una volta tanto, un po’ di fortuna! Riusciamo anche ad asciugare guanti, calze impermeabili e stivali grazie dal termosifone elettrico del bagno. La mattina cerchiamo di partire intorno alle nove: non partiamo mai presto visto meteo e temperatura.

La nuvola di Fantozzi ci aspetta: accendiamo il motore, cade la prima goccia. Oggi dobbiamo attraversare tutto il parco nazionale delle Cèvennes, un splendido parco classificato come riserva della biosfera e paesaggio culturale dell’agro-pastorizia mediterranea. Le porte del parco si aprono quando, continuando ad accumulare quota, entriamo nella zona del Mas de la Barque, zona sciistica dell’alta Occitania situata a circa 1.600mt di altitudine: inizia a piovere forte e la pista prevalentemente rocciosa nella quale ci troviamo in mezzo al bosco si dischiude tagliando il versante della montagna ed esponendoci a vento forte.

Abbiamo visibilità di venti metri ma non possiamo tornare indietro: non c’è modo di passare all’altro versante senza dover fare qualche ora di giro dell’oca. Ho fatto l’errore di lasciare la visiera del casco sollevata: la mascherina da enduro mi protegge ma mi fa entrare un sacco di freddo e acqua e, quando l’abbasso, essendosi bagnata all’interno, la visibilità si riduce a venti cm.

Di fermarsi nemmeno l’idea. Non incontriamo nessuno per ore, solo qualche mucca. Continuiamo a ritmo costante e rapido schivando fango, pozzanghere e residui di neve, ma soprattutto pregando la Dea Elisabetta protettrice della motocicletta di non farci bucare o avere problemi. Per dirla alla Lino Banfi, sarebbero “volatili per diabetici”.

Arriviamo a incrociare una strada asfaltata di montagna e le terribili condizioni ci fanno individuare una città vicina alla traccia dove fermarci a cercare un hotel: 120km, la città più vicina è distante 87km di stradine di montagna e 33km di strada principale. Qualche ora di curve sotto la pioggia mi fanno comunque apprezzare scenari incredibili e lo pneumatico anteriore che provo per la prima volta: sono fedele a Mitas e normalmente utilizzo le E09 (non Dakar. Cambiare camera d’aria per montagne con un tallone Dakar è da masochisti) ma cercavo qualcosa di più performante.

Mi è stato dato un Dunlop D606 da provare e dopo un periodo di transizione non molto felice, ho cercato il rilevante Mitas. Direttamente dalla casa, mi propongo un C17 Stone-eater. Non ho mai avuto la sensazione di perdita di aderenza in nessuna condizione e nonostante il tassello pronunciato da 12mm nessuna vibrazione. Ottima durata nonostante la leggerezza dello pneumatico e il peso della moto. Arriviamo verso le 15.00 a Millau, la prima cittadina con più di 500 abitanti che troviamo negli ultimi giorni; la posizione è strategica purché siamo alle porte del parco naturale regionale delle Grands Causses, che chiaramente attraverseremo, e all’imbocco delle gole del Tarn e della Dourbie. 

E l’ultimo giorno venne il sole!

Oggi, settimo giorno, le previsioni meteo ci stupiscono: SOLE. Non ci fidiamo, indossiamo comunque l’antipioggia e infatti i primi chilometri li guidiamo sotto un acquazzone che poi, finalmente, lascia spazio alla luce. Anche la temperatura finalmente cambia: da una media di 4-5 gradi, passiamo al “caldo torrido” dei 15 gradi.

Sembra un sogno.

La meta odierna è Carcassonne ed essendo probabilmente l’ultima notte, a patto di non avere inconvenienti, prometto a Bernard, ma soprattutto a Pifa, di riservare già un hotel. La notte prima, navigando in attesa dell’arrivo di Morfeo, ho trovato una offerta su una applicazione last minute proprio nel luogo prestabilito: un hotel 5 stelle a 100€ l’abitazione da tre.

Lascio la new come jolly, come carta “esci di prigione” nel caso decidano di esautorarmi definitivamente per aver fatto loro mangiare pane e fango per una settimana. Anche oggi, scenari completamente differenti per ogni montagna o parco che attraversiamo: dalla steppa incisa di sentieri di terra rossa che ricordano così tanto la mia savana keniota, ai paesaggi montani dell’alta Languedoc.

Grazie al tempo nettamente migliore e all’umore tornato a livelli di sicurezza, manteniamo un ritmo dakariano il che ci permette di percorrere circa 300km fino ad arrivare a destinazione: la splendida Carcassonne, patrimonio Unesco e gioiello medievale tra leggenda e realtà. Le architetture di questa città inducono a credere che uno strano paradosso temporale ci abbia catapultato nel medioevo; in effetti, qui si perde la cognizione del tempo in uno scenario da fiaba per quella che è la cittadella fortificata più grande d’Europa.

Arrivati all’hotel i fidati soci quasi baciano il suolo e non faccio in tempo a fare il check-in che me li ritrovo “accappatoizzati” in direzione della piscina riscaldata. Ultima notte che, come nelle migliori tradizioni, ci concede un “ciò che succede a Carcassonne, rimane a Carcassonne”. L’aperitivo nell’hotel combinato alla stanchezza ci lasciano poca immaginazione se non…. ehi, che ho detto prima? ciò che succede a Carcassonne…

La colazione a buffet è l’oasi del vizio e ci vorrebbe una pennichella per tesserne le lodi: per gran felicità dell’hotel, visto la presentazione non delle migliori caratterizzata da un mix di scie chimiche che le nostre uniformi rilasciavano e le tracce di fango sulla moquette appena spazzolata, riprendiamo il percorso dirigendoci verso la regione della Nouvelle Aquitaine e poi dei Midi Pyrenees, il cui solo nome ci ricorda -casa-. Una splendida giornata di sole e 20 gradi, incredibile, ci aprono le porte ai Pirenei Orientali grazie al valico del Col de Jau, 1.506mt.

Attraversiamo le splendide foreste della riserva naturale nazionale di Nohèdes e il meraviglioso paesino di Mosset, incastonato nella cornice montana del parco come un diamante nel suo anello, per poi seguire per le tortuose strade dei Pirenei Catalani fino ad arrivare a toccare suolo spagnolo… ops, catalano! Dopo una salita di 16km con più pietre che alberi, giungiamo al Col del Pou de la Neu; arrivati!

In un terreno che conosciamo molto bene e dopo una oretta di piste sterrate e tornanti divertenti, una coppia di amici ci aspetta per darci il benvenuto e pranzare insieme! Ci raccontiamo un po’ ma la stanchezza ci tiene frenati e la voglia di casa, doccia e divano hanno la meglio.

Qualche numero?

  • Giorni programmati: 10 di guida + 2 di pausa
  • Giorni realizzati: 8 di guida + 0 di pausa
  • Km programmati: 2.425
  • Km realizzati: 1.890 ( in totale, andata e ritorno, 2.900km)
  • Temperatura media: 7,8 gradi (-1 la minima e 21 la massima)
  • Il 65% del tempo è stato trascorso tra i 500mt ed i 1.500mt
  • Uniche rotture, il parafango anteriore della 1250 e metà leva frizione della 790

Giunti alla fine di questo articolo che prende la connotazione di un ebook, ci tengo a ringraziare:i miei amici e compagni di viaggio, non potrei chiedere di meglio. La mia famiglia per il costante e incredibile appoggio. L’Associazione Non Dolet Italia, a supporto dei veterani, per il contributo continuo. Guru Maps, per il sostegno e la collaborazione che è nata con la app di navigazione che ritengo la migliore sul mercato. Mosterrato e il suo staff, per il supporto morale e tecnico durante il viaggio. Destino Adventure, anche se attualmente in stato embrionale, per avermi fatto reiniziare a sognare e reinventare. BMW Motorrad, per l’affidabilità della mia 800GSA che costantemente mi sorprende.

Attendo quindi, con molto piacere e ansia, qualunque commento e/o feedback.
Per vostra grazia, ho preparato due video: un trailer di tre minuti che vedete qui pubblicato e un full-edit di 25 minuti che potete trovare sul mio canale YouTube. Non dimenticate di seguirmi anche su Instagram e… alla prossima avventura!

Testo: Andrea “Fast” Scaramuzza

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