Tour dei Balcani parte 1

È vero sono vulcanico e instancabile e il 2017 è archiviato come un anno vissuto sulle due ruote. Fino a dicembre ho percorso ben 32.000 km. Dopo esser stato inebriato dall’esperienza del Sudamerica (gennaio/marzo) e aver girovagato fino a giugno (incluso il 6° Tour di Albertoelarossa), mi sono chiesto: e quest’estate? Guardo la cartina dell’Europa, penso e punto il dito: i Balcani. Sì, andiamo a visitare una parte del continente che ancora mi è sconosciuta, in direzione est mi ero spinto fino all’Ungheria (2 volte) e poi Croazia, Slovenia, Slovacchia, Repubblica Ceca e stop.
Ed ecco che inizio a buttare giù un percorso che in 25 giorni mi porterà ad attraversare Romania, Bulgaria, Turchia, Grecia, Serbia, Bosnia e Croazia.
È vero che girare in moto in lungo e largo è meraviglioso, ma lo è altrettanto quando seduto a una scrivania, circondato da cartine e con Internet a disposizione (gran bell’aiuto oggi), inizi a programmare un viaggio. L’adrenalina già muove i miei primi passi, la mente inizia a viaggiare, e sul foglio di Excel prendono corpo distanze, tappe e luoghi da visitare.
Il tour sarà in solitaria, visto che la mia Cristina, per motivi di lavoro, non potrà accompagnarmi, e questo non mi incute timori, anzi, ammetto che percorrere le strade del mondo da solo galvanizza e offre un’atmosfera particolare. La simbiosi fra te e la tua moto si rinsalda quasi come se fosse una della famiglia e il fascino dell’avventura acquista connotati ancor più marcati. E poi mi prendo tutti i tempi che credo, senza correre, per gustare tutto ciò che incontro.
Slow Biker: questo è il mio motto!
In un mese preparo le rotte, mi informo dove andare e cosa vedere, e qui inizia l’appropriarsi della Cultura, con la C maiuscola, poiché l’essenza dei viaggi è questa, aumentare le tue conoscenze ed esperienze.
Bene basta chiacchere e partiamo.
Mi piacciono i numeri e decido di partire il 17/7/17, anche perché la mia Rossa compie 20 anni di cui gli ultimi 16 passati con il sottoscritto (a quei tempi aveva solo 12.000 km!).
Parto nel pomeriggio, dopo aver salutato il mio amore Cri e, come prima tappa intermedia, mi fermo a Trieste, ospite degli amici motociclisti Lucio, Tiziana e Giacomo. Gran bella serata, chiacchere e risate. Grandi! La mattina dopo inizia il vero viaggio, una bella tappa di 900 km che mi porterà, attraverso la Slovenia e l’Ungheria, all’ingresso in Romania a Oradea. Tutta autostrada, con soste giusto per benzina, pranzare e varcare le frontiere. Arrivo alle ore 19.00 locali (con 12 ore di viaggio effettive, poiché in Romania devo spostare le lancette un’ora indietro) trovo l’albergo e già noto una prima stranezza: la moto la parcheggio nel portone poiché l’hotel non ha il parking. C’è da ridere per entrare. La mattina successiva parto e la prima sorpresa, andando a fare il pieno, è che la super viene €1.01 il litro, che manna! Da Oradea mi spingo verso nord, attraverso distese di campi coltivati, per lo più a girasoli, per poter raggiungere e visitare nella prima settimana la zona di Maramues, densa di Monasteri, caratterizzata da abitazioni e chiese in legno. Lungo il percorso, sulla sommità dei pali che costeggiano la strada, inizio a vedere i nidi delle cicogne (mi accompagneranno per tutto il viaggio) e fermandomi li osservo: nidi enormi e con dentro, a volte, anche 6 piccoli con i genitori che fanno la spola per nutrirli. Uno spettacolo!

https://youtu.be/i1aQ5vgw46s

A Sapanta visito il “Cimitero Allegro”, così chiamato poiché sulle lapidi sono riportate immagini della vita del defunto simpatiche e ironiche. È un’esplosione di colori, non sembra di esser in un cimitero. Bravi, con ironia sdrammatizzano un ambiente che da noi trasmette tristezza per i cari persi, qui al contrario molta serenità. Il Monastero di Peri, con la chiesa lignea più alta d’Europa, ben 78 metri, è impressionante.
La strada è ancora interessante, tra piacevoli vallate con sommità al massimo di circa 600 m s.l.m., nel verde e tra boschi rigogliosi. Siamo nei Carpazi settentrionali, una zona meglio conosciuta come Transilvania.
Anche il Monastero di Barsana è molto bello ed esteso, caratteristica che accompagna tutte le chiese dei monasteri di religione ortodossa, colme all’interno di dipinti alle pareti e icone con Madonna e Bambino neri. Le persone che incontro al loro interno si fermano davanti a queste immagini e si fanno diverse volte il segno della croce, paese che vai usanze che trovi. Gli ambienti, molto piccoli, sono carichi di atmosfera e ti senti immerso veramente in tutto quello che di sacro ti circonda.
Il particolare villaggio di Breb è descritto come un luogo dove il tempo si è fermato ed è davvero così, con una piccola strada senza sbocco che devo ripercorrere all’indietro per poter uscire. Le donne di questo villaggio sono vestite con costumi particolari (alcuni li ritroverò lungo il percorso del viaggio) con un foulard sulla testa che, con l’avanzare con l’età, passa da un colore acceso e chiaro a uno scuro, con una gonna sotto il ginocchio e scarpe che a volte sembrano pantofole. Gli uomini indossano una camicia, pantaloni classici e tutti un piccolo cappello (come le donne boliviane) di paglia di varie fogge.
Durante il percorso sosto presso un piccolo monastero, quello di Prislop, una chiesa carina, bianca, dove mi incrocio con un biker tedesco con cui in qualche modo socializzo. Riesco a trovare la strada per un altro monastero, che mi fa costeggiare la frontiera ucraina che dista soli 4 km. Attraverso gli ultimi 40 km su una strada bianca all’interno di un bosco fitto, bello e suggestivo. Mi fermo e mi godo nel silenzio (traffico assente) il mio sigaro. Il Monastero di Putna, si presenta molto bello e ben curato (lo sono tutti). Come al solito si accede da un grande ingresso con un enorme portone di legno circondato, come molti altri, da mura alte. In effetti quando sono stati costruiti, i monasteri hanno avuto anche una valenza di pseudo-fortezze. I religiosi presenti, con il loro copricapo caratteristico (basso e circolare, come una pentola rovesciata) e la veste nera e lunga, possono apparire personaggi un po’ inquietanti, ma è la loro simbologia che li contraddistingue.
Il giorno seguente, visito altri tre monasteri: Humorului, Voronet e Neamt. Tutti sempre ben tenuti, con la medesima caratteristica delle chiese piccole piene di richiami religiosi. In quella di Neamt, addirittura, sotto l’icona della Madonna con Bambino le persone si chinano e carponi attraversano una piccola apertura, facendosi sempre molti segni della croce. Purtroppo non sono riuscito a capire il motivo, anche se può essere intuito.
Le strade che ho percorso non sono state sempre buone: buche e brecciolino sono molto presenti e il traffico è un po’ scorretto, poichè alcuni per evitare tutto questo non si sdegnano di invadere la tua corsia e a volte mi tocca portarmi anche fuori strada. Ma la polizia dov’è? Davvero poca e assente.

La tappa del giorno dopo mi porta a Sibiu. Strada all’inizio bella, con curve e salite fino ai 1287 m s.l.m. del passo di Bucin), finalmente un po’ di sano divertimento. Attraverso Sighisoara e altri paesi molto gradevoli. Lungo la strada inizio a notare alcuni banchetti che vendono di tutto: dai souvenir, a copie di animali, pentole e manufatti di rame, ferro, alluminio e legno. Sono zingari, etnia molto presente in questa zona, le cui donne hanno caratteristici capelli di tonalità dal giallo al rosso e indossano gonne multicolore. Numerosi sono anche i bambini, mentre gli uomini portano un copricapo nero a tesa tonda intorno alla testa. Prima di arrivare a Sibiu, seguo la deviazione indicata dal mio amico Michele per la chiesa-fortezza di Biertan. Bella e imponente, non ortodossa, ma cristiana-evangelica, sembrava di vedervi entrare da un momento all’altro i Templari come nel Codice da Vinci.
Nel pomeriggio arrivo a Sibiu, dove sarò ospite per tre giorni di Domenico, fratello di Stefania Gnoato (conosciuta in occasione dei preparativi per il Sudamerica). Nei due giorni successivi, gli itinerari che mi sono preparato mi portano a percorrere due strade simbolo dei motociclisti, due strade opposte nel loro sviluppo.
La prima, la Transalpina, lunga circa 135 km, si divide in tre parti. La prima scorre in mezzo a un bosco di abeti, con tornanti godibili, fino a costeggiare il lago artificiale Oasa. Poi inizia a salire, la vegetazione scompare, e la strada diventa più interessante per il suo snodarsi di tornante in tornante. Nella terza parte si sale fino al passo Urdele a 2145 m s.l.m., 18 gradi, tra nuvole basse e molti motociclisti di ogni nazionalità (dalla Francia, Serbia, Ungheria, Irlanda e Germania), direi veramente una bella strada con un buon asfalto. Scendo e attraverso la statale n. 7, ritorno verso Sibiu (effettuando una sorta di ovale). È una grande arteria di comunicazione, Domenico mi aveva avvisato, camion a iosa e strada, non male dal punto di vista paesaggistico ma pessima come arteria.
La seconda, la Transfagarasan, è indicata da tutti come un percorso mitico. Lunga circa 75 km, costruita ai tempi di Ceausescu per gli spostamenti delle truppe militari (1970/74), negli anni la sua manutenzione non è stata all’altezza della sua fama. Il fondo è pessimo, nel mio caso durante la notte aveva piovuto e tracce di terra e residui di alberi sparsi per la strada hanno reso il percorso un po’ difficoltoso. Bella la prima parte, come sviluppo stradale, e bel colpo d’occhio dalla sommità raggiunta. Poi per il resto niente di che, se si esclude la diga che crea un lago artificiale, notevole. Si arriva quasi a 2000 m di altitudine, con temperatura 12/16 gradi. Inizia a piovere, e per ritornare a Sibiu passo da Bran, dove si trova un richiamo al castello di Dracula, ma è una delusione. Gran caos di bancarelle che assediano la rocca, con una moltitudine di persone e pulman. Da bocciare.
L’indomani di buon’ora, tappa di trasferimento per la capitale rumena: Bucarest.
Durante il tragitto visito il castello Peles a Sinaia. In effetti più che un castello è una villa fortificata, ma merita di più la visita dell’edificio adibito a museo. Tragitto in pianura e, dopo Ploiesti, la strada diventa autostrada.

Bucarest: grande città, grande arterie, attraversata dal fiume Dambovita, mi ricorda molto Budapest, con l’immensa struttura del Parlamento (un po’ il simbolo della città, costruito da Ceausescu radendo al suolo quartieri e villaggi della zona) e piazza Unirii.
Il traffico è notevole come si addice a una capitale, con interessanti edifici di età storica, come la chiesa ortodossa Stavropoleos eretta nel 1724. L’Arcul de Triumf, un’arco di trionfo tipo quello parigino in piccolo, e poi di nuovo a osservare da più vicino il palazzo del Parlamento, imponente, come l’immagine di potenza che voleva trasmettere al suo popolo ai tempi della cortina di ferro.

Nei giorni a seguire, prima di arrivare alla frontiera con la Bulgaria, sul Mar Nero, mi dirigo verso il Delta del Danubio. Attraverso Braila, al confine moldavo/ucraino, delimitato dall’ultima parte del percorso del Danubio. Uso un traghetto piccolo e caratteristico. Piacevole sorpresa; in 15 minuti mi fa attraversare un ramo del fiume, per arrivare a Tulcea.
Il giorno dopo, prendo posto su un leggero motoscafo, per osservare da vicino il Delta del Danubio. Erano anni che avevo questa idea, per chiudere un cerchio iniziato nel lontano 2005, quando andai a vedere la sorgente del Danubio che si trova nella Germania sud-ovest, più esattamente nella Foresta Nera, a Donaueschingen. Dopo aver lasciato il percorso centrale, molto largo e navigabile, ci immergiamo nei canali che compongono il Delta. Lungo il percorso vediamo sulle rive famiglie che pescano e che si godono la giornata. Vediamo anche abitazioni in legno che usano i pescatori nei canali (la cui profondità è anche di un metro), con le nasse che utilizziamo noi in mare per i crostacei. È bellissimo essere immersi nella ricca vegetazione, composta di boschi che si aprono all’improvviso in stagni dove sono presenti migliaia di uccelli di specie diverse. Quelli che mi colpiscono di più sono i pellicani, grandi e con il becco strano e la sacca sottostante. Entriamo in alcuni canali stretti con la vegetazione folta, sembra di vedere i filmati dei fiumi tropicali, mancano solo i coccodrilli! Il tour dura tutto il giorno, la natura è la vera regina e mi auguro che possa mantenersi tale con tutto l’inquinamento che produciamo.

Lascio Tulcea, per arrivare nel tardo pomeriggio a Mangalia, vicino al confine con la Bulgaria. Il percorso che scelgo costeggia, nella prima parte (strada secondaria) il delta del Danubio fino a Murighiol, toccando Babagad. La strada è bella paesaggisticamente e mi permette di attraversare paesi graziosi, con gli abitanti vestiti a festa per la domenica e con mercati dove si vende di tutto. Ritorno sulla strada principale, e mi avvio in direzione di Costanza, importante città sul Mar Nero. Da Navodari, inizia la zona balneare. Il traffico diventa caotico, con una moltitudine di persone che si recano al mare. Rimango sorpreso, poiché per un lungo tratto noto un’ingegnosa ovovia che serve per il trasporto e lo spostamento lungo la costa (La Paz in Bolivia non è più la sola con questo mezzo di trasporto!). Entro in Costanza e mi fermo sul mare. Fa molto caldo, ammiro una bella passeggiata lungo mare e un vecchio Casinò che domina la prospettiva. The Black Sea, lo guardo, spazio con gli occhi a perdersi all’orizzonte e penso che da qualche parte sulla mia sinistra c’è Odessa e la penisola di Crimea, chissà, forse… un giorno.
Riprendo il cammino, e dopo aver fatto tappa a Mangalia, varco la frontiera e lascio la Romania per la Bulgaria. Dopo un girovagare di ben 14 giorni, devo dire che la Romania merita la visita e un’approfondita conoscenza. È stata una bella scoperta. Non ho avuto nessun problema con gli ambienti e le persone, anzi ho ricevuto molta gentilezza e aiuto visto che quasi tutti parlano italiano per aver avuto trascorsi di lavoro nella nostra nazione.
Fine prima parte

Testo e foto: Alberto Marconcini

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