Offroad mari e monti: da Tarquinia a Roccaraso (o quasi)

Quante volte ho visto quella strada tagliare il fianco della montagna e scendere a valle con i suoi traversi e quelle curve appese alle spalle del monte Elefante. 
Quante volte ho desiderato percorrerla, mi ruba lo sguardo anche ora… la vedo, dietro la visiera del casco mentre torno a casa, ma questa volta è differente perché so che tra due giorni scenderò proprio da lì durante un coast to coast che si preannuncia epico.

Il fulcro di tutto è “il Vale”, conosciuto in occasione di un’altra Tirreno-Adriatico (raccontata qui) che, nel mese di gennaio, lanciò su Facebook un invito a partecipare a questo giro, totalmente informale e aperto a tutti; da lì in poi il solito iter che porta dai cinquanta interessati ai cinque partecipanti, un classico!

Nel mentre scoppia una pandemia mondiale, ma Vale continua imperterrito la preparazione: chiama le strutture, recupera tracce del suo PC e fa una chiamata all’amico Ugo Filosa, noto organizzatore di eventi e grande conoscitore di questa parte di Appennino.
È proprio lui che lo spinge a scendere a Roccaraso anziché tagliare a Pescara fornendogli alcune delle tracce percorse con il suo Enduring d’Abruzzo che attraversano, come dice lui,

i 20km di offroad più belli d’Italia.

È così che quello che era nato come un cost to coast da Tarquinia a Pescara durante i mesi di preparazione è diventato pian piano un “Coast to Majella” che porterà il gruppo fino a Roccaraso.

Il weekend

Partiamo in cinque da Tarquinia: io conosco solo Vale, ma anche gli altri tra loro non si conoscono; questa caratteristica degli annunci Facebook mi fa impazzire: amici di amici di altri amici che si incontrano e si stringono la mano alla partenza di una tre giorni di off e che spesso continueranno a frequentarsi come è successo a me con Vale.

L’avvio dalla città degli etruschi è subito vivo; attraversiamo i campi della bassa maremma: immense piantagioni agricole e, a perdita d’occhio, campi di grano prossimi alla trebbiatura imbionditi dal caldo.

Non ci sono montagne, ma abbiamo alle spalle il mare e avanti a noi le strade hanno fascino! Arriviamo a Monteromano e scendiamo nel far west della Tuscia.

Attraversando letteralmente mandrie al pascolo brado, raggiungiamo la valle del fiume Mignone ed entriamo per la “porta principale” nella vecchia ferrovia abbandonata Orte-Civitavecchia.

Ponti reticolari, trincee e gallerie: ogni chilometro è una scoperta! Giunti al termine della ferrovia tagliamo la Tuscia in orizzontale attraversando ettari di noccioleti tipici di queste zone e arriviamo in Sabina, la terra del “ratto: gli antichi romani, innamorati delle bellissime donne che ivi risiedevano, le rapirono per portarle nella capitale. 

Interessato alla questione ho cercato, tuttavia intorno a me ho trovato solo km di boschi… quanto è dura la vita dell’endurista… almeno quanto i sassi che scavalca in moto.

A proposito di sassi: ciò che apprezzo tantissimo dei coast to coast è l’incredibile varietà di terreni incontrata.

Spezzare l’Italia in orizzontale è uno sballo! Poche ore prima eravamo con i piedi nella sabbia del Tirreno poi, in meno di cento chilometri, siamo passati dai terreni argillosi dell’Aurelia al peperino vulcanico del viterbese e ora, nei pressi di Cottanello, ci troviamo nel pieno del calcare umbro. 

Anche chi non è un “infoiato” di geologia si accorge della differenza, perché il terreno cambia il paesaggio e qui siamo nell’Eden delle verdissime e fresche faggete tra Terni e Rieti (che in gennaio vedono il passaggio del Mototrip di cui vi abbiamo parlato qui) mentre solo qualche decina di chilometri ci separa dai campi dorati dal grano della bassa Maremma: spettacolo!

Dopo avervi annoiato con queste dissennate dissertazioni d’un deficiente che ha conosciuto le rocce a forza di caderci sopra in moto, è ora di scendere dai monti e tirar dritto verso Cittaducale per la notte.

https://youtu.be/_SIVD2xeVOU

La seconda giornata, senza nulla togliere a quella trascorsa, me l’aspetto incredibile

La traccia con una lunga sterrata in salita ci porta a recuperare il dislivello che ci separa dalla sella di Leonessa, praticamente la cima del Terminillo.

Viaggiamo a tratti nel bosco e a tratti in costa, scoprendo ai nostri piedi la piana di Rieti fino ad arrivare all’imbocco della strada di cui vi ho parlato in apertura. Siamo a quasi duemila metri, che in Appennino vuol dire essere praticamente in cima al mondo!

Scendo attaccato alle spalle della montagna rischiando di cadere ogni dieci metri; impossibile guardare a terra e negare agli occhi lo spettacolo che ci circonda: la vista fugge verso il Velino, gli altipiani di Rascino e chissà poi dove.

La bellezza è senza fine, arriviamo ad Antrodoco per risalire sulla costa opposta verso Cagnano Amiterno e da qui riprendiamo l’antica strada romana di Pizzoli (che avevamo conosciuto al Queen Trophy di cui vi avevamo parlato) che, con il suo periodico “tornantare” ci porta verso il lago di Campotosto in mezzo a profumi “balsamici” di larice.

Ci spezzano il ritmo solo le forature, una sfiga costante da due giorni che raggiunge l’apice in un tratto di strada dove contiamo più chiodi che sassi. Proviamo una improbabile ripezzatura con fast e nastro americano che, incredibilmente, dura una ventina di chilometri. Eppure, giunti al passo delle Capannelle, dobbiamo capitolare e rischiare, utilizzando l’ultima camera d’aria a disposizione.

Siamo nell’Abruzzo più bello, fatto di pietra bianca e natura rigogliosa, di un altopiano dopo l’altro in mezzo alle cime più alte degli appennini.

Quando dalle Capannelle scendiamo nel Vasto verso Assergi, godiamo sotto il casco! A me ricorda il Montenegro, ma forse ancora più bello… abbiamo Campo Imperatore con la sua funivia rossa sulla sinistra ed il Corno grande che, con i suoi 2912 m svetta, su ogni cosa.

Quelli che ci portano nei pressi di Santo Stefano di Sessanio per la notte, sono stati quaranta chilometri di fuoristrada indimenticabili e fuori dal mondo, così come fuori dal tempo e dallo spazio è Rocca Calascio, uno dei simboli principali della regione, che ci appare avanti all’improvviso, e l’Abruzzo in generale. 

I miei compagni domani proseguiranno per Roccaraso, ma io devo tornare a casa: è giugno, il Covid ha da poco allentato la presa e io sono uno dei fortunati che domani deve andare al lavoro.

Testo e foto: Dario Lupini

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