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Mauritania 2017… alla ricerca del passo di Nega

Il nostro viaggio è iniziato con qualche difficoltà: il container con le nostre moto è arrivato con alcuni giorni di ritardo e tutta la compagnia ha dovuto trascinarsi in lunghe passeggiate per le strade polverose di Nouakchott o in riva al mare, dove migliaia di barche di pescatori, con i loro colori sgargianti, urlavano gioia di vivere a dispetto della fatica del mare.

Già si palpava un certo nervosismo quando, grazie all’intraprendenza e alla determinazione del nostro capo gruppo Federico Milighetti, siamo riusciti a liberarci dagli impicci della burocrazia africana, a impadronirci dei nostri mezzi e, finalmente, a partire.

Davanti a noi il deserto della Mauritania con le sue mille facce già cancellava ogni nostra inquietudine. La compagnia comprendeva vecchi navigatori di deserto nostalgici della Parigi-Dakar come Federico Milighetti, Paolo Paladini e Andrea Tritarelli, amanti viaggiatori professionisti come Fabrizio Rovella (Saharamonamour) e un po’ di gregari innamorati dell’avventura e dell’Africa. L’itinerario puntava dapprima verso nord est, direzione Akjoujt, poi, passando attraverso villaggi e duri altipiani di pietra, ci ha condotto dentro l’abbraccio morbido della sabbia, fino a giungere ai piedi delle grandi dune di Azoueiga dove abbiamo fatto il primo campo. Impossibile resistere alla maestosità delle dune che al tramonto si rigano di ombre e strisciano silenziosamente sotto la brezza sottile… e quindi via, prima con le moto fino alla vetta, poi a piedi nudi, per inebriarsi di immagini e sensazioni indelebili.

Da lì il nostro itinerario ci ha portato verso Terjit attraversando il passo di Tifoujar. L’oasi è stata il nostro secondo campo. All’ombra fresca del palmeto abbiamo risalito il torrente, raggiungendo le colline rocciose che sovrastano la gola, per ammirare la pianura immensa che si distende dalle falesie rosseggianti in direzione di Atar. Dopo una notte trascorsa nell’Auberge di Terjit, dove ci siamo concessi anche il lusso di una doccia, abbiamo imboccato la pista in direzione sud, sulle vecchie tracce del percorso ufficiale della Parigi-Dakar di cui ormai resta soltanto la memoria di pochi fortunati (come i nostri Paladini, Milighetti e Tritarelli). Da qui il percorso si snoda alla volta di Aujeft El Faraoun attraverso un oued disseminato di pozzi, dove crocchi di donne avvolte in vestidai colori vivaci e di ragazzi ci corrono incontro festanti. Poi, quasi all’improvviso, si alzano ai nostri lati pareti rocciose altissime che si restringono fino alle superbe gole del El Hnouk, dove anche Tritarelli (il mio pilota superprofessional) ha dovuto cedere al desiderio irrefrenabile di fermarsi a catturare qualche immagine. Il giorno seguente abbiamo proseguito verso il Cippo Fabrizio Meoni (realizzato ad aprile 2006). Come sempre questo avvicinamento ci provoca dolore e malinconia… sembra impossibile che quella spianata arida e banale sia stata fatale al nostro campione, eppure quelle pietre ci ricordano che è vero, che proprio lì Meoni concluse per sempre la sua corsa. Risistemare le pietre e riguardare sgomenti gli ultimi metri della sua vita sono le sole cure che possiamo ancora dedicargli, e questo ci fa sentire vicini e familiari. Ripartiamo un po’ attoniti attraverso un deserto sabbioso di piccole dune sparse che si muovono trasportate dal vento frapponendosi al percorso tracciato, ma senza creare grandi difficoltà, per poi inoltrarci in un interminabile distesa di cordoni di piccole dune ed “erba cammello” che ci impegna per un centinaio di chilometri. Qui il percorso si è fatto molto impegnativo e faticoso; si avanza senza alcuna traccia visibile sul terreno e con un orizzonte basso e illeggibile, ove anche la pazienza del mio metodico pilota si è esaurita. Fortunatamente salendo sul tetto della nostra Toyota abbiamo avvistato l’infinita distesa piatta che si prospettava a poca distanza davanti a noi e, con un ultimo sforzo, siamo sbarcati oltre le dune, dove, esausti, ci siamo accampati per la notte (nelle vicinanze del forte fantasma di Tamassoumit).

Il giorno seguente abbiamo proseguito verso Moudjeira, passando per Ksar El barca, per poi proseguire verso la Guelta di Matmata dove abbiamo avvistato gli ultimi coccodrilli del Sahara. Il percorso per giungere in questo posto incredibile attraversa campi coltivati a ortaggi e villaggi popolosissimi, dove squadre di ragazzi ci rincorrono gridando e correndo a piedi nudi sulle loro esili gambe. Poi comincia la salita rocciosa che, emergendo dalla sabbia, diviene sempre più nera e aspra e come una piastra bollente sale e sale. Le case di pietra appoggiate su queste lastre calde sembrano luoghi di sofferenza e di dolore… l’ultimo tratto è un’unica formazione rocciosa che si stende fino alla sommità della collina. Scendiamo dalle auto con aria circospetta, guardiamo con diffidenza il percorso da fare a piedi e cerchiamo con lo sguardo i nostri compagni motociclisti arrivati prima di noi. Cominciamo a interpretare il terreno e a comprendere la geometria del luogo quando, improvvisamente, si apre il grande salto davanti a noi: quasi 60 metri di dislivello ci separano da quelle acque, dove abbiamo contato 12 coccodrilli che da tempi immemori sono giunti fino a noi. Rassicurati dalla distanza, ci godiamo la vista dall’alto sopra un anfiteatro di rocce calcaree venate di mille colori. Ma la giornata non è finita: ci aspettano il più bello dei nostri campi, su un’altura ornata di pinnacoli di roccia, e un arrosto di capretto (acquistato dai pastori della zona).Il giorno seguente sarebbe stato il grande giorno: finalmente avremmo attraversato il mitico passo di Nega che ormai pensavo fosse soltanto un posto mitologico. Invece esiste davvero e i nostri navigatori Paladini e Milighetti ce lo hanno fatto scoprire palmo a palmo. Prima una sosta alla cascata: un salto di una cinquantina di metri in una gola di pietre scure dove l’acqua non si vede e non si sente cadere perché, sospinta dal vento, vola verso l’alto e si nebulizza in piccole gocce che ti rinfrescano e ti sorprendono in mezzo alle rocce riarse. Saliamo quindi per un tratto sabbioso e stretto, che poi si allarga diventando sempre più scorrevole, fino a un plateau di sabbia rosa. Da qui un tuffo in moto nella discesa vertiginosa ha dato un po’ di sfogo all’entusiasmo del nostro Scardina mai sazio di emozioni. La nostra giornata si conclude dopo aver attraversato Kiffa dove costeggiamo una discarica infinita di plastica che ci sconvolge nella sua brutalità. Il nostro viaggio è quasi terminato. Davanti a noi asfalto fino a Boutlimit. Fortunatamente il giorno successivo ci aspetta ancora il deserto e percorriamo la pista verso ovest fino al mare che ci incontra nei pressi di Tiguent. Sì, è proprio finita! Già sentiamo la nostalgia del deserto e anche della nostra compagnia che in questi giorni si è affiatata e amalgamata stringendo legami che solo il deserto e il fuoco dei campi serali possono creare. Domani verso nord costeggeremo il mare fino a Nouakchott… e la mente corre verso il prossimo viaggio, quando torneremo ancora qui.

In moto:

  • Federico Milighetti KTM 350 EXC-F, Paolo Paladini KTM rally 660, Stefano Scardina KTM rally 660, Fabrizio Zappitelli KTM 690

In auto:

  • Toyota hdj 100 Andrea Tritarelli, Lara Bacci e la nostra guida Hassan
  • Toyota pick up Luca Gazzini e Antonio Accordi
  • Toyota Fabrizio Rovella

Km totali percorsi: 2600.
Km fuoristrada 80% sabbia 20%

Servizio a cura di Federico Milighetti

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