24MX

Il “viaggio della vita”: la Patagonia in moto

Dopo anni di motociclismo in fuoristrada e di gare amatoriali di enduro mi sono accostato al turismo a lungo raggio.

Questa novella passione ha contagiato anche mia moglie Alessia: prima come passeggera e poi come rider.
Capo Nord, Bretagna e Normandia, Elefantentreffen e raduni i più diversi… finché, un bel giorno, ci è balenato in mente il “viaggio della vita”: la Patagonia in moto.

Con le nostre, di moto: un GS1200 adv e un GS100 PD Classic.

Tutto da organizzare

Il nostro primo pensiero l’abbiamo rivolto agli “impicci” burocratici e assicurativi: l’intento era essere “in ordine” sotto ogni aspetto, legale prima che meccanico, pertanto è partito l’iter che ci ha visti frequenti interlocutori dell’ACI.

Gli uffici ci hanno consigliato il conseguimento della patente internazionale e del carnet de passage, ovverosia un “passaporto” dei mezzi recanti diversi dati (codici vari, numeri telaio e motore, peso, etc).

L’ultimo step è stato la fideiussione bancaria.

La spedizione in Argentina richiedeva una fideiussione del valore totale della moto, nuova. Dopo una vivace contrattazione abbiamo spuntato il valore effettivo dei mezzi usati, il che non ha comunque reso  meno importante l’esborso.

La spedizione

Conoscevamo già uno spedizioniere veronese, l’Alitrans di Villafranca, cui ci siamo rivolti “a colpo sicuro”.

Prima di tutto era necessario imballare le moto in delle casse, ma anche questa volta la fortuna è giunta in soccorso: un nostro amico se n’è occupato, riportandoci che un suo collega aveva dei pianali in ferro (probabilmente marchiati KTM!) adatti al trasporto moto di cui voleva disfarsi: op-là, ci ho pensato io!

La mia manualità e il prezioso aiuto di due cari amici, Giorgio e Alessio, mi hanno permesso di confezionare i “pacchetti” presso la loro officina, chiudendoli proprio come de banalissimi scatoloni. Data la loro ampiezza, io e mia moglie ne abbiamo approfittato per stiparci anche tutto l’abbigliamento tecnico.

Il volo

Previsto da Villafranca nel veronese, il nostro volo ha subito una variazione importante. Una nevicata imprevista ha comportato forti ritardi e cambiamenti nel time-table della compagnia, dirottandoci verso Linate.

La traversata, tuttavia, è stata ottima fino a Buenos Aires, ove siamo sbarcati felici e adrenalinici! Tanto emozionati da divenirlo tuttora al pensiero, incapaci di riuscire a definire delle sensazioni tanto forti che solo un viaggio, totalmente all’avventura poi, può suscitare.

Senza prenotazioni alle spalle, il primo giorno abbiamo scelto di fare i turisti, godendoci il periodo natalizio con un solleone per noi insolito.
Tra le peculiarità che ci hanno colpiti la fiumana di gente che scorre e rischia di trascinarti con sé, dato che B.A. è una metropoli decisamente enorme, specialmente per i nostri standard.

Lo sdoganamento

Nonostante le nostre più rosee previsioni, non tutto l’iter amministrativo è filato liscio.

Il governo argentino non accetta l’importazione di due moto intestate allo stesso soggetto, il che ci imponeva di reperire un interprete ufficiale (ergo iscritto regolarmente a un albo) che producesse un documento in lingua originale, recante la mia delega ad Alessia alla guida della mia moto in territorio argentino.
Non senza “bollino blu” notarile.

Immaginate la difficoltà nel disbrigare tutte queste pratiche in una megalopoli straniera, con usi e diritto antitetici ai nostri e sotto Natale che, come il nostro Capodanno, prevede una chiusura generale quasi a tappeto delle diverse attività.

Il referente locale della Alitrans, però, si è rivelato fondamentale presentandoci un despaciante (un agente doganale) ben introdotto… il quale, infatti, ci ha permesso il ritiro dei mezzi in poche ore.

Così, con un caldo africano (e no: sudamericano!) ci siamo ritrovati su un piazzale enorme, con due casse da aprire e da preparare per la successiva spedizione a Ushuaia e due moto, con tanto di vestiario e accessori, da “rimontare”.

Los gringos de Buenos Aires

Il despaciante ci è venuto in soccorso ancora una volta, contattando due brutti ceffi poco raccomandabili, due camionisti dai truck “assurdi” catapultandoci in un battibaleno in un film di Bud Spencer.

Uno dei due ci ha condotto a casa propria, nel rione più malfamato di Bue. Tipo rione Bocha o qualcosa del genere.

Se viaggiare è entrare a contatto con la realtà che ti ospita, quel dì io e Alessia abbiamo scoperto quanto vera fosse la miseria di certi luoghi, quella che si vede solo in TV, ma che a pelle fa decisamente più effetto. 

Sporcizia, bambini seminudi che giocavano per strada cercando sollievo nelle pozzanghere fresche a bordo dei marciapiedi. Chissà se, tra quelli, ci sarà un futuro Ronaldo o Messi…
A dispetto dell’allure sicura e poco raccomandabile, il nostro ospite si è rivelato gentilissimo, facendoci gli onori di casa e agevolando le nostre operazioni.

Convinti di ripartire, e sperando di non offenderlo, gli ho offerto una somma simbolica a mo’ di ringraziamento incontrando i suoi occhi favorevoli. Che, però, sono diventati molto più cupi appena girata la chiave nel quadro.

Sarebbe stato lui, invero, a condurci fuori dal Bronx argentino, un dedalo di viuzze da cui sarebbe stato impossibile uscire facilmente (indenni). Due stranieri su due moto si sarebbero rivelati una ghiottoneria per molti… esattamente come in un film, dicevamo, no?

Poco dopo ci siamo ritrovati in una carovana, al seguito di un condottiero famoso  in preda a saluti vari tra la folla, facendoci strada come fossimo ospiti illustri. Un ottimo apripista senza il quale, bisogna ammetterlo, non saremmo mai usciti da lì.

La partenza

Fino a quel momento eravamo partiti, sì, ma “solo” da casa.
La vera partenza è arrivata il giorno dopo, bussando alla porta dell’hotel e portando con sè una gioia incontenibile! Ma pure un filo di ansia: sapevamo che avremmo navigato a vista durante il viaggio e il sud America non scherza.

Direzione Bahia Blanca.

La Pampa è infinita e sconfinata: tanto per darne la misura ricordo ancora un rettifilo misurato, per curiosità: cento lunghissimi km in linea dritta… dritta verso le Ande. 
Da La Adela a Choele Choel, nel pieno di varie tempeste di sabbia che hanno sfiaccato Alessia la quale, comprensibilmente, ha deciso di fermarsi.

Durante la sosta abbiamo conosciuto un tipico esemplare faunistico: un armadillo. Quella povera bestiola era in balia degli agenti atmosferici, riverso e a pancia in su, forse un segno di resa o forse si era solo capovolta, malamente.

Con entusiasmo compassionevole lo abbiamo rimesso in piedi, lasciandolo andar via e constatando quanto quella sua armatura possa essere pesante!

La notte l’abbiamo trascorsa a Nuequen e, se non erro, era il 24 dicembre. Il che si scrive “Vigilia” ma si legge “tutto serrato\completo”. Fortunatamente abbiamo cenato nel bar di una stazione di servizio con dei miseri tramezzini surgelati. Non era certo un tipico veglione ma

hey: eravamo nelle Ande!

Come dolce ci siamo concessi delle tipiche leccornie surgelate.

Questo dà ancoa la misura di come abbiamo programmato il viaggio: non programmandolo! Le soste erano improvvisate di volta in volta, con l’unica accortezza di non ritrovarsi in luoghi isolati e poco raccomandabili nel tardo pomeriggio. A una certa ora, e prima che tutto potesse chiudere anche solo a ridosso del nostro arrivo, noi si arrestava la corsa.

La fermata successiva è stata una riserva naturale vicino ad un lago, a San Martin de Los Andres. Un lago costeggiato da una strada sterrata e, solo pochi chilometri dopo, abbiamo scorto una fattoria con dei posti letto, di cui abbiamo usufruito volentieri subito dopo cena.

La pace dei sensi.

Era come stare in una cartolina: un piccolo casolare immerso a tanto verde e al blu del cielo!

San Carlo De Bariloche

Il nostro obiettivo successivo.

San Carlo è una stazione turistica molto conosciuta sia per gli sport invernali che per quelli estivi, offrendo sia diverse discipline da praticare che panorami quasi unici. Sono tanti gli statunitensi che frequentano quei monti, infatti.

La via verso San Carlo ci ha fatto incrociare un nuovo lago, dalle coste infinite.

L’essere un’attrazione turistica inflazionata ha reso la zona molto difficile per noi che vagavamo “a naso”. Frotte di visitatori che, a volte, rendevano impraticabile e poco pacifica la guida ma, soprattutto, un pienone da costringerci a cenare in un sushi bar.

Rotolando verso sud

La ripresa si è rivelata dura a causa di un guasto tecnico: la moto di Alessia perde colpi e va a uno… problemi elettrici.
Senza altre soluzioni sono stato costretto ad abbandonare cavallo e cavallerizza alla ricerca di aiuto presso la prima cittadina. Credo si chiamasse Los Tamarisco.

Poco più di una baraccopoli, la cui unica strada asfaltata era quella che attraversa il borgo. L’orario mi è propizio: incontro della gente a cui chiedo di un meccanico, spedendomi dall’unico presente.

Ho provato a spiegargli il problema, sottolineando che Alessia era lì, ad attenderci. I miei interlocutori si sono prodigati, a fronte della richiesta di 10 $ per la benzina.

Una moglie val bene (più) di 10 dollari e glieli ho concessi speranzoso!

Uno di costoro è entrato in officina, uscendone con un’enorme teiera con cui ha rabboccato il radiatore di un pick-up sgangherato, alla volta di Ale.

Al rientro, in uno spagnolo misto veneto, abbiamo azzardato una anamnesi della BMW. Il presunto meccanico, in preda a illuminazione, si è quindi accasciato accanto al GS, guardandolo in religioso silenzio per svariati minuti. Sembrava uno sciamano al capezzale di un ferito da rianimare con il pensiero.

Questo ha illuminato me, invece, facendomi convincendomi della scarsa conoscenza della meccanica di tal individuo.

Era necessario portare la moto in una città vera e propria, cercando un’assistenza adeguata al mezzo.
E se le moto giapponesi godono di spedizioni veloci e ricambi numerosi, così non era per le europee, il che ci scoraggiava non poco.

Eppure, fortunati un’ennesima volta, l’indomani abbiamo incrociato un “padroncino”: proprietario di un furgoncino dedito al trasporto di qualsiasi cosa, il quale avrebbe percorso la tratta per Comodoro Rivadavia, la città più grande della zona.

Unico, grosso, problema: lo sciopero dei benzinai.
Muoversi con i distributiri chiusi sarebbe stato catastrofico, ma il nostro meccanico, interpellato, ha reagito alla nostra richiesta d’aiuto con solerzia.
Così, davanti alle nostre preoccupazioni, ha seraficamente risposto:

tranquillo solusioniamo el problema!

E, infatti, la soluzione l’ha trovata.

Con la prontezza di un general manager, ha chiamato a raccolta due “bravi” manzoniani i quali, a bordo di un – ennesimo, nella zona – pick-up ci sono venuti incontro con una tanica di benzina sulle spalle, per farci il pieno.

Paghi forse della nostra gratitudine, non solo non hanno maggiorato il prezzo, ma ci hanno anche fatto uno sconto.

La città

Giunti, finalmente, in città abbiamo anche reperito un elettrauto. Anche se in maniera raffazzonata, questi ha riparato la vecchia PD Classic con una centralina mutuata da una vecchia Golf e via: in carrozza, destinazione El Calafate.

Per prima cosa è stato necessario fare dietro front ripuntando per Las Pulgas e, solo da lì, abbracciare la famosa Ruta 40.

La Ruta 40 fu costruita quale strada di servizio per permettere ai militari di spostarsi durante i diversi regimi dittatoriali che si sono susseguiti nel tempo.

Una strada inizialmente sterrata, piena di ciottoli e sassi.

Il consiglio più ricorrente ci esortava a tenere una velocità sostenuta, intorno ai 100 km\h, per “galleggiare” sulle asperità del terreno. Un’andatura impossibile per Alessia.

La Ruta è stata il battesimo del Telelever.

Il Telelever, in fuoristrada, fa schifo!

Il vecchio GS dotato di forcella tradizionale era decisamente più guidabile del mio, GS 1200 che tendeva a rimbalzare al contrario di quello di Ale, che assorbiva tutte le sconnessioni.

La Ruta 40 ha un fascino contagioso. E per la prima volta ho capito il senso dell’infinito.

Significa guidare la moto in mezzo al nulla, precorrere circa mille chilometri senza incontrare nessuno eccetto qualche autotreno (che, se ti arriva alle spalle senza che tu te ne accorga, ti sotterra di polvere e sassi, ammesso che tu non cada).

Guardi avanti e non vedi l’orizzonte. Noi europei siamo abituati ad avere un punto di riferimento: una montagna, una collina, un altipiano. Lì, no. Lì non vedi la fine.

Forse da questa sensazione nasce il saluto Hasta la vista.

A sera eravamo ancora dispersi: ormai accarezzavamo l’idea di addormentarci a bordo strada, come due sprovveduti, senza tenda né cibo. Di lì a poco, invece, abbiamo scorto un cartello che, in quel momento, recava la segnalazione più bella del mondo: Agriturismo Rurale Angostura 30 km.

Alla deviazione prevista si prospettaano ulteriori 5 km di… boh. Entroterra sconosciuto. Non avevamo idea di dove fossimo, il serbatoio aveva benzina per giungere a Tres Lagos, la città cardine che segna la fine de la Ruta 40.

Sgomenti e sconcertati abbiamo proseguito fino a un promontorio che domina una vallata verde e rigogliosa.

Al centro, in lontananza, uno sparuto gruppo di case.

Il timore pian piano lasciava spazio al sollievo: la fattoria era realmente abitata e, accanto, delle moto parcheggiate. Il fattore ci ha accolti con delle ottime birre fresche e ristoratrici, in quel momento le più buone di sempre!

Sistemati i mezzi ci siamo concessi una calda doccia, una vera coccola soprattutto per Alessia che era stremata. La giornata si era rivelata lunga e massacrante, per entrambi.

A cena abbiamo socializzato con una coppia di tedeschi: a differenza nostra avevano noleggiato le moto e, il loro percorso ricalcava quasi il nostro.

Le chiacchiere,  gli astanti, il luogo… varcando la soglia di quell’agriturismo sembrava di essere entrati in un altro mondo, indietro nel tempo. L’unico vezzo moderno, un generatore per la corrente. Tanto moderno che, al primo elettrodomestico utilizzato in cucina, la luce delle lampadine si affievoliva.

Un sonno pesante e uno spirito rinnovato era ciò che ci seviva: al mattino siamo ripartiti riposati e felici per altri 200 km di strada bianca. Credo ne avremo fatti circa mille, perché in certe condizioni tutto appare spropositato, fuori dal tempo e decisamente dilatato. Chilometri inclusi.

La lunga giornata è terminata con due singolari incontri da segnalare.

Il primo già poco dopo la partenza. In tarda mattinata io e Alessia siamo stati superati da tre moto. Tre Speedy Gonzales sui 100 km\h come tre schegge impazzite.

Non abbiamo potuto fare a meno di commentare grazie all’unterfono, ritenendoli davvero “fuori”. E, infatti, li avevamo inquadati bene: quando li abbiamo raggiunti ci siamo trovati davanti a una scena apocalittica…

Uno dei tre, apparentemente incolume, aveva appena “tirato una mina” pazzesca. Era in piedi – immagino sconsolato – vicino alla carcassa della sua moto, dai pezzi sparsi per qualche centianaia di metri di raggio.

Presumibilmente la causa dell’inciente era da addebitarsi al vento forte che noi, molto più lenti, provavamo a contrastare guidando con una leggera inclinazione. Una fatica immane ma, in moto, fattibile.

A differenza, probabilmente, dei due ciclisti intravisti in seguito. A ridosso di Tres Lagos questi due ragazzi spingevano le proprie bici, mestamente, e con un carico quasi eccessivo ma dotati del necessario per due cicloviaggiatori. Non ci abbiamo parlato, quindi ignoravamo la lunghezza del loro cammino ma se anche avessero percorso 50 km al giorno, e in quelle condizioni sarebbero comunque tanti, erano in giro da settimane.

L’arrivo in città

Le prime immancabili tappe, quando giungevamo in un centro abitato, prevedevano il distributore e, in base all’orario, il ristorante.
Più che questo, tuttavia, abbiamo forse apprezzato l’asfalto: dopo tanto patire, sembrava di volare!

El Calafate

Il ghiacciaio. Maestoso e imponente.

Purtroppo il progressivo ritiro è palese, eppure è stato interessante e unico assistere al distacco di un pezzo di una parete ghiacciata. Un rumore assordante con un tonfo colossale, generatore di grosse onde.

Un brivido ci ha pervasi, ma era il freddo. La prossimità al sud si evinceva sempre più decisamente, anche attraverso le temperature tendenti allo zero.

Sebbene il nostro viaggio avesse previsto un tour dell’Argentina, per un breve tratto abbiamo sconfinato in Cile, nei pressi di Torre del Paine: una bellissima riserva, comprensiva di piccolo hotel sito su un’isoletta di un lago.

Che posti meravigliosi…

La notte abbiamo trovato riparo in un motel, ove abbiamo conosciuto Gus: durante la cena ci ha raccontato dei due anni sabbatici che prevedevano il periplo delle Americhe in solitaria, su BMW 650, partendo dal British Columbia.

Beato lui! 

La ruta vero Rio Gallegos.

Purtroppo a Riso Gallegos la moto di Alessia ha ceduto definitivamente, costringendoci a un’odissea per trasportarla a Ushuaia.

Le circostanze ci hanno portato all’orecchio il nome di tal Diego Riesta, un trasportatore/trafficante/faccendiere che, mosso da “simpatia” (1000 dollari) ha acconsentito ad aiutarci.

Un aiuto che, in seguito, si è meritato l’intero millino.

L’arrivo a destinazione prevedeva un nuovo attraversamento del Cile con la moto caricata sul furgone. Le dogane cilene sono spesso congestionate da camion, turisti e pendolari.
Alle code lunghe ed estenuanti si sarebbero aggiunti i dazi doganali (a dispetto degli iter per una moto marciante) e altre amene burocrazie.

Ed è stato qui che i nostri soldi a fondo perduto si sono rivelati invece utilissimi a “ungere” gli ingranaggi delle frontiere.

In dogana, quindi, ci siamo arrivati in tre su due mezzi e mezzo.

Il nostro amico ha consegnato tutti i nostri documenti: sia i passaporti che i libretti di circolazione. Solo dopo abbiamo realizzato, inebetiti, che eravamo appena rimasti senza uno straccio di documento d’identità dall’altra parte del mondo, dove le regole, di diritti e la pubblica amministrazione sono decisamente arbitrari.

L’addetto è scomparso letteralmente, negli uffici dei piani superiori, lasciandoci tra gli occhi inquisitori e maliziosi di una fila di persone sconosciute e inquietanti. Eppure, solo quindici minuti dopo, l’autista è tornato a noi con documenti, timbri, permessi, protocolli in ordine. Questo ci ha permesso di saltare i controlli a piè pari e, in meno di un’ora, abbiamo superato la dogana liberi di raggiungere la nostra meta.

Quel giorno abbiamo inteso il concetto di “Telepass” agentino!

Back to Argentina

Varcati i confini, il nostro compagno di viaggio ha decisamente pestato sull’acceleratore senza ritegno, quasi dimentico di essere sul prosieguo della Ruta 40, con tratti sconnessi annessi.

Pare che i 100 km\h fossero la norma laggiù e io, dietro con il GS, ho mangiato letteralmente la polvere, schivando sassi e convinto di dover schivare anche pezzi di camioncino che temevo si sarebbe smontato tutto da un momento all’altro.

Giunti a destinazione pensavamo che le tribolazioni fossero concluse, invece…

… Invece lo spedizioniere non ha mai ricevuto le casse con le quali avevamo inviato le moto dall’Italia e che avevamo a loro volta spedito da Buenos Aires (ove penso siano tuttora, forse in qualche deposito o a disposizione di chissà chi).

Ne sono conseguiti alcuni alterchi con lo spedizioniere veronese, i cui addetti si sono spesso negati al telefono perché, a quanto pare, non avevamo svolto con dovizia il loro lavoro.

Tutto l’aiuto riscontrato negli sconosciuti argentini era appena stato annullato dalla strafottenza dei nostri connazionali.

Il panico ci ha assaliti, pertanto abbiamo deciso di creare una base operativa da cui ricominciare. Trovato un alloggio, abbiamo dovuto rivedere tutto, a cominciare ovviamente dall’iter burocratico.

Se di necessità virtù, siamo riusciti a venirne a capo da soli, nonostante le lungaggini. Anche lo spedizioniere sudamericano si è rivelato accomodante, accogliendo le nostre richieste e appoggiando le necessità.

L’allocazione pratica dei mezzi è stata risolta grazie a dei bancali che ho reperito, legandovi i GS alla meno peggio, pronti a salpare.

Sfortunatamente, invece, abbiamo dimenticato il plico dei documenti dal vettore che, meno male, era ancora aperto e pronto ad accoglierci.

Tanto per stemperare quei momenti di caos e di iper eccitazione, abbiamo optato per una conclusione molto più “leggera”: due giorni da turisti per viuzze, dintorni, musei e la famosa Pinguinera sullo stretto di Beagle.

Durante la fase più turistica abbiamo conosciuto tre ragazzi californiani, giunti fin lì su delle moto da enduro, simil Suzuki DR 690. Persi tra le chiacchiere i giovanotti ci hanno raccontato il loro intento: raggiungere il Brasile, vendere le moto a Rio per virare verso l’Australia a fare surf.

In quel momento una folgorazione:

per andare in vacanza servono soldi, per viaggiare no. Questi tre Hypster erano in giro da parecchio tempo, guadagnandosi da vivere con lavoretti ed espedienti vari.

Le nostre conclusioni…

L’esperienza si è rivelata stupenda, piena di imprevisti e di sorprese. L’abbiamo affrontata anche con una certa dose di incoscienza… le dinamiche di un viaggio europeo non si discostano troppo da quelle nazionali. Ma in Argentina è necessario adattarsi, com’è giusto che sia, a una mentalità e a delle modalità antitetiche, accettando al meglio le differenze.

Solo così è possibile superare indenni determinate “cose”: gli imprevisti, il modo di porsi o quello di risolvere i problemi. Senza empatia, si va poco avanti.

Un’unica vera criticità: la spedizione della moto. Al me di tempo fa lo sconsiglierei vivamente: un dispendio di costi ed energie (emotive in primis) eccessivo.

Vero è che, avere la propria moto con sé in viaggio del genere, è impagabile.


Testo e foto: Alessia Confente e Andrea Toffali.

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