Non è poi così difficile andare in moto sulla sabbia della savana quando si assiste a Peterhansel in TV, il quale sembra “fare dei gran numeri” su un terreno accidentatissimo; noi che lo vediamo passare a tutta velocità all’interno dei villaggi abitati derapando su una ruota sola, alle volte, siamo portati a pensare che quello sia l’unico modo di guidare nei terreni intorno a Dakar e crediamo che si debba essere tutti dei marziani oppure stare a casa.
È un classico: tutto quello che si crede prima di provare non conta: in ogni caso, l’esperienza diretta è l’unica ipotesi accettabile.
Io li ho visti dal vivo e, sapendo di non potere reggere il confronto diretto, ho percorso le stesse piste con una moto di 35 anni, così da sentirmi giustificato:
Ho una moto vecchia, non potrò mai andare come loro
– tutto tornava nella mia testa
anche con un 500 da cross non potrei mai avvicinarmi alle loro maestà.
Con la mia BSA invece mi sentivo Doohan: assetto stradale, leggero controsterzo (moto dritta, vabbè), rumore esaltante del bicilindrico “old style” e telaio quasi rigido visti gli ammortizzatori “ossidati”.
Mi sentivo anche abbastanza bravino, ma siccome non c’era nessuno a cui mostrare la mia maestria, mi sentivo in pace con me stesso e soddisfatto, in pieno accordo con lo spirito di “Mamma Africa”: quella parte del mondo che mi ha regalato tanti Natali ma anche tante Pasque, befane e ferragosto sott’acqua.
Ma come mai mi ritrovavo proprio su di una BSA? Perché non una Norton o una Harley? O una Guzzi
Semplicemente perché un signore anziano che aveva un’attività di noleggio Land Rover e un’officina nel suo garage, tra tutti gli altri veicoli aveva anche una MGB e questa BSA A50.
Quando l’ho vista ho subito pensato di portarmela a casa in Italia, salvo poi scoprire che per immatricolare una moto vecchia comprata all’estero ci vogliono tutti i documenti in regola e non è detto ci si riesca.
Ho quindi ritenuto di lasciare perdere la nuova immatricolazione, tanto per girare qui in Africa sarebbe stata perfetta.
A guardarla, anche distrattamente, si vede benissimo che è più vecchia di me, che ha vissuto più di me, ma non so se sia stata realmente sfruttata o solamente lasciata invecchiare in un polveroso garage di paese. È pur sempre molto bella e trasmette eleganza, nonostante le scorticature.
Io la trovavo molto chic e mi sentivo un ganzo a girarci sopra, ma gli africani non hanno il culto del pezzo storico: per loro è più “sborone” un TDR 125 con l’avviamento elettrico;
quando, invece, incontravo i pullman o i camion pieni di bianchi in vacanza mi sentivo Lawrence d’Arabia nella scena d’inizio, con i capelli al vento e il bicilindrico tra le gambe: “too wild”, troppo giusto, “ual boiz”.
Alcuni di voi, altri magari no, si chiederanno come vada un mezzo del genere su quel tipo di terreno, poiché si spera che uno che scrive su un giornale di moto non abbia girato casualmente su una moto vecchia perchè l’ha trovata, ma conosca un po’ le caratteristiche del terreno in questione avendolo assaggiato con altre moto più specifiche.
Siete fortunati, ho usato tantissime moto nel mio periodo senegalese: 2t, 4t, cross, enduro, anche delle ex Paris Dakar dato che ne era il termine, e allora capitava anche di farci un giro.
La BSA comunque si difende molto bene sulla sabbia, dove, in generale ci vogliono i cavalli e l’A50 ne ha! Onestamente non saprei dirvi esattamente quanti, e lo capirete… in Africa, nelle nostre, officine non avevamo i banchi prova.
Nella guida in “pista” la moto è bella, equilibrata e manovrabile, insomma… guidabile! Non so se dipenda dal fatto che nella savana, se sbagli, lo spazio per tirare dritto c’è e quindi non ci si preoccupa mai di limitarsi ma anzi, si cerca sempre il massimo (del divertimento); in ogni caso con questa moto non ricordo di essere mai caduto.
Ma oltre le battute, che nascondono sempre una vena di verità, come va ‘sta BSA?
Per quello che mi ricordo, a differenza del TT jap, non ci si può permettere certo di rilassarsi se si vogliono mantenere certe andature.
Un esempio?
Dimenticatevi la ruota da “21 e un angolo di cannotto bello aperto… bisogna guardare bene davanti a sé e, scorto dello sconnesso, spostare il peso in modo che la ruota anteriore si sollevi cercando di fare altrettanto con quella posteriore, una volta sulla buca, quasi come si fa con la bici salendo sui marciapiedi per evitare di storcere il cerchio, dato che gli ammortizzatori non ti aiutano mai!
Cercare di fare la comparazione con una moto moderna però non ha tanto senso. Anche solo prendere a riferimento una Yamaha TT tra il ’91 ed il ‘95 è impensabile.
Ok, quel TT era fenomenale con un motore sempre presente, freno a disco anteriore e tanta avancorsa da permettersi anche un certo relax ad andature turistiche.
Ma non nascemmo per viver come bruti ma per seguir virtute e conoscenza
quindi dobbiamo trovare i pro anche in una situazione che pare non presentarne e non tutti i mali vengono per nuocere, quindi veniamo al vantaggio della BSA sulle moderne.
Oltre a quello estetico e del rumore che mi sembra già sotto gli occhi di tutti, nelle curve molto larghe delle “piste charrett” avendo le ruote lisce e gli ammortizzatori “rigidi” sembra di guidare una moto da dirt trak.
Pertanto, avendo cura di impostare un ingresso molto dolce con la moto già inserita e beneficiando di un grande campo di utilizzo del motore e della generosità della sabbia che non ha mai delle risposte improvvise all’azione, si può agevolmente mantenere il controsterzo sentendosi Doohan o Schwantz con delle piccole e innocue variazioni di gas.
Questa sensazione del controsterzo lungo con una moto da strada è molto eccitante e il pensiero di poterla ottenere a velocità ridotta e con pochissimo pericolo rende la BSA A50 sulle strade del Senegal un ricordo dolce e indelebile che, quando riaffiora alla mente, ci si ritova con la faccia di chi è contento, come… avete presente quando… siete appagati e dite
am augenblick: verbleibte doch, du bist so shòn!!
(Cit. Goethe, Faust).
Ciao.
Come avrete capito questa non è la prova di una moto, ma il racconto del nostro amico\lettore Christian Rizzi il quale, ventiquattro anni fa quando la Paris Dakar si correva in Africa e Stephan Peterhansel già allora la dominava in sella alla Yamaha, da vero avventuriero esplorava il Senegal con una BSA A50 trovata in loco.
Testo e foto: Christian Rizzi