Tour dei Balcani parte 2

Varco la frontiera (molto veloce e nessun ostacolo) e subito mi vien da ridere, guardo i cartelli stradali, incomprensibili: siamo nel mondo del cirillico e leggere è un problema. Meno male che le indicazioni nelle città più importanti sono anche in alfabeto latino, comunque mi sono dotato di una carta con i nomi scritti in doppia grafia, un valido aiuto. Il tragitto si snoda senza problemi, buone strade, più affollate quando mi avvicino alla costa. Attraverso Varna, Obzor e Aheloy, fino al confine con la Turchia. Per attraversare la frontiera occorre un po’ di tempo, visto che questa nazione non appartiene all’Europa; si deve passare dallo sportello immigrazione per i documenti personali e poi occuparsi dell’importazione della moto. Ritirato il documento che mi permetterà di uscire dal paese, c’è il controllo dei bagagli e del numero di telaio del mezzo. In circa 40 minuti sono finalmente sulle strade del paese della Mezzaluna. Mi fa un po’ effetto, primo perché comunque è una nazione soggetta ad attentati (Alberto occhi aperti), secondo perché non è la prima volta che mi trovo in questo paese. Nel lontano 1983 (34 anni fa), con un furgone attrezzato alla buona, arrivai da Grosseto fino a Istanbul, città che già allora mi affascinò e mi catturò con tutte le sue meraviglie, iniziando dalle moschee. Ed è proprio per una moschea che ho deciso di sconfinare, andando a visitare a Edirne la moschea Selimiye, della quale dicono un gran bene. Riparto e attraverso buonissime strade larghe, ma con poco traffico e arrivo fino alla tappa successiva: Kirklareli. Una città che, a parte per l’accozzaglia presente sulle strade tra scritte in arabo, devo riconoscere non sporca. Mi soffermo davanti a vari negozi dove si vendono monili turchi, ma la mia attenzione è attratta dal venditore di cozze che mi tenta con il suo carrettino in mezzo alla strada pedonale ma lascio perdere temendo eventuali effetti collaterali. La maggior parte delle attività vende cibo, molti sono i kebab, le pasticcerie e le gelaterie. Le donne sono vestite come la religione musulmana prevede, tra bandiere turche da tutte le parti, grandi e piccole, e immagini del presidente in carica. Mentre passeggio in questo labirinto, costeggiando una moschea con minareto, ecco che parte il richiamo alla preghiera. Al posto del muezzin, ci sono altoparlanti dai quali fuoriesce un’ incomprensibile (per me) nenia. Vedo molte persone che iniziano a entrare, anche in limitrofe moschee, è l’ora della preghiera. Da noi il prete suona le campane e qui invece c’è proprio un richiamo verbale. Vorrei entrare in una di esse, ma la parte più riflessiva di me mi suggerisce il contrario e tiro dritto.
Ed eccoci a Edirne. All’entrata della città vedo bunker in cemento con feritoie, soldati in assetto da guerra ed evidenti fucili o mitra. Il terrorismo ha colpito anche questa nazione, specie a Istanbul, ed è logico vedere queste precauzioni ma, non essendo abituato, mi mettono un po’ di disagio. Arrivo nel centro e subito rimango senza fiato di fronte al suo straordinario effetto scenico. La Moschea Selimiye è lì sulla mia destra, sulla sommità della piazza, certo l’hanno studiata bene, complimenti. Prima di entrare me la gusto da fuori. Imponente nel suo classico disegno: quattro minareti (i più alti di tutta la Turchia) la contornano, e i colori si sprecano, soprattutto nelle maioliche blu. Varco un gran cortile circondato da mura e colonne. Arrivo all’ingresso e naturalmente, come in ogni moschea, bisogna lasciar fuori le calzature. Guardo i miei stivali da moto e sorrido, fanno un bell’effetto accanto a scarpe normali. Sono accolto da un vigilante al suo ingresso e da un bambino (percepisco suo figlio) e con un gran sorriso mi mostra al bimbo spiegandoli, credo, che sono un motociclista, visto l’abbigliamento che indosso. Vuole farsi una foto con me. All’interno della moschea osservo lo spazio grandissimo, i tappetti, le lampade che scendono dall’altissimo soffitto, l’ambiente completamente spoglio di statue. Vi sono dipinti enormi scudi (li ricordo da Istanbul) con sopra alcuni graffiti di cui non conosco il significato. Tante persone sono sparse nel classico atteggiamento della preghiera, verso una stessa direzione, quella della Mecca. Faccio foto e video, ma mi rendo conto che non è molto gradito. Penso ai personaggi che avranno calcato questo pavimento, visto che la moschea risale al 1568. Meno male che l’ultima crociata risale al 1302, e quindi è integra per questo motivo, non come santa Sofia a Istanbul, che da chiesa cristiana è stata trasformata più volte in moschea e viceversa. Mi congedo da questo luogo di preghiera, pensando a come vediamo oggi noi l’Islam, per colpa degli attentati e dei continui sbarchi. Peccato che i popoli anche con diversa cultura, specie religiosa, non riescano a fraternizzare, ma anche noi cristiani ci abbiamo messo del nostro, basti pensare al periodo della Santa Inquisizione!
Attigua c’è la piccola Moschea Cami che risale al 1414, ed è una chicca. Entro ma, forse per le sue ridotte dimensioni, è piena di persone dedite alla preghiera; alcuni rumorii con occhiatacce mi fanno capire che non sono ben accetto. Saluto ed esco. Vado nel gran Bazar, ma rimango un po’ deluso (il ricordo di quello di Istanbul mi influenza) tanti banchetti, con varia merce, ma non eccezionale.

Riparto per rientrare in Bulgaria, attraverso la Grecia. Sosta pranzo in un parco e, mentre sono lì, un venditore di ortaggi lungo la strada si avvicina e mi regala due pomodori; che bello sono sorpreso e con piacere li accetto, faranno da contorno al mio pasto frugale. Buonissimi. Prima di ripartire, tocca a me ringraziarlo e, avendo notato che fumava, gli dono un mio sigaro che lui accetta molto contento. Un abbraccio, un saluto, un selfie e poi via di nuovo in strada, ricordando con piacere questo episodio, insieme con gli altri che mi accompagnano nella memoria, incontri fatti in tutti i miei viaggi con persone gentili e socievoli. Questa è ricchezza d’animo.
La strada è gradevole, sale con dolci curve fino a circa 600 m s.l.m., prima di Ardino pernotto.
Il tragitto che mi porterà a Sofia mi fa scoprire una strada secondaria fantastica, in mezzo alla natura. Pur con una carreggiata non grande, risulta piacevole per i panorami (salgo fino a 1800 m) che ammiro dall’alto tra abeti altissimi e poche tracce di vita. Accidenti che posto! Segue la visita al monastero di Bachkovski.
Di lì al passo Sipka, 1300 m di altitudine, in una strada larga con bell’asfalto e gradevoli curve. Arrivato in cima al passo, avevo intravisto sulla sommità, una grande costruzione quindi, incuriosito, effettuo una deviazione e salgo su una strada acciottolata per raggiungerla. È un monumento/ossario che ricorda la battaglia fra russi e turchi del 1877, in cui soli 6.000 uomini respinsero ben 30.000 musulmani per l’Indipendenza del paese (La Bulgaria). Sulla sommità, posta un po’ distante, c’è una costruzione di cemento grigio, un obelisco imponente che domina la vallata a ricordo della fondazione del Partito Socialdemocratico Bulgaro diventato poi Comunista. Certo in un altro posto non lo potevano fare. Perplesso! A Gabrovo pernotto.
Il giorno dopo entro in Sofia. Arrivo dalla sommità di alcune colline poste a ridosso della capitale, e quindi si gode la visione di tutto il centro abitato. Il cielo sulla città è leggermente di color rosso, e questo mi richiama alla mente Roma e il suo inquinamento. Anche se Sofia ha soltanto 1.300.000 abitanti circa, molto probabilmente produce inquinamento. Non credevo. Nel pomeriggio, come pattuito, arriva Jancov con sua moglie. Sì l’amico che devo incontrare è il mio collega-coach, allenatore di pallavolo bulgaro, conosciuto anni fa nella stagione al Volley Pescia, dove lui si era trasferito da circa 20 anni. Mi fa da cicerone e, oltre a farmi visitare casa propria, in auto mi accompagna per un mini tour della capitale. Che belle questi scambi, in un paese poi che non conosci, e con persone con cui hai rari contatti.
Di buon mattino arrivo in centro a Sofia e inizio la mia visita dal simbolo della capitale: la cattedrale Alexander Nevski, fantastico il colpo d’occhio, isolata in una piazza ancor più grande. Bellissimo questo gioco di cupole che si rincorrono e si sostengono l’una con l’altra. Gli giro intorno, me la gusto con i raggi del sole che la prendono in diagonale, i suoi tetti ricoperti di oro luccicano rendendola irreale. Entro dentro e forse qui rimango deluso, dopo la grande bellezza esteriore la parte interna è certamente inferiore alle aspettative, ma non vuol dire che non vada apprezzata. Dopo m’incammino in queste enormi arterie, prossima fermata, in contrapposizione alla vastità della cattedrale, la piccola chiesetta russa di San Nicola, un diamante incastonato in questa città. Qui non si rimane delusi sia dall’esterno che all’interno. La sua architettura è ridotta ma esprime e trasmette una grande forza. L’interno è ricco di particolari, non si può fare foto, ne rubo due. Le grandi strade di questa capitale trasmettono tranquillità, pulizia, serenità e silenzio, nonostante che il suo traffico e i negozi siano da capitale. Non me l’aspettavo, devo esser sincero, sono sorpreso dall’ambiente. Ammiro gli enormi palazzi del Parlamento, quello Presidenziale e della Giustizia e altre piccole chiese, scorgendo anche una moschea. Sofia lascia una bella impressione nella mia mente.

Lascio la Bulgaria per la Serbia. Arrivo alla frontiera molto tranquillo. Le formalità bulgare sono veloci, così dalla parte serba. Passo la frontiera fino a Nis, in un’alternanza fra strada normale e pezzi di autostrada (la stanno finendo di costruire) e arrivo al luogo dell’appuntamento con Stefania. Mi fa vedere un po’ il centro e la cattedrale. Però poi cediamo alle lusinghe di quest’aria torrida e ci rifugiamo di nuovo in casa. Davanti ad un buon caffè, ci mettiamo a parlare di moto, di viaggi e della reciproca e recente esperienza in Sudamerica.
Il giorno dopo visitiamo quello che rimane di una torre a base quadrata, la Skull Tower, alta 8 metri, costruita dai Turchi ai tempi delle conquiste dei Balcani, molto particolare. Serviva da monito a chi voleva sfidare le truppe ottomane con un effetto terrificante, in questa torre furono incastonati i teschi degli sconfitti (circa 952!). A seguire un campo di concentramento dove furono internati serbi, ebrei, slavi e partigiani da parte dei nazisti. Sui muri è visibile ancora la conta dei giorni che qualcuno teneva. Visitare questi luoghi trasmette sempre un senso di angoscia per le persone che purtroppo lo hanno abitato. La scelleratezza umana non ha confini (nemmeno oggi).
La mattina, salutato Stefania che è stata una padrona di casa e una guida impeccabile, prendo la via per il Danubio. Fino a Negotin viaggio tra boschi e colline. Dopo inizia la strada che costeggia il Danubio, il fiume fa da confine fino a Ram fra la Serbia e la Romania. A Sip noto una diga idroelettrica che sbarra il percorso del Danubio e che fa anche da ponte per le due frontiere. La strada che percorro lungo il fiume è buona, curve e gallerie si alternano. Si porta anche un po’ in alto sulle pendici dei monti che fanno da perimetro al fiume. Ed ecco le Porte di Ferro. È un luogo che mi ha colpito fin dai tempi della scuola quando in una spiegazione di geografia il professore parlò di questo luogo lungo il corso del Danubio. Da lì si scatenò la mia fantasia su come poteva essere e, a distanza di parecchi anni, ecco che viene appagata. Si tratta di un canale lungo circa 3 km con una larghezza che varia dai 160 ai 250 metri. Bella la prospettiva, un bel colpo d’occhio suggestivo. Tocco Veliki Gradiske e da qui riprendo il viaggio in direzione Belgrado, dove arrivo il giorno successivo.
Si entra bene a Belgrado, ma i palazzi che mi accolgono sono inguardabili, parallelepipedi senza logica, altissimi mostri architettonici. San Sava, la chiesa ortodossa più grande del mondo (una sorta di San Pietro per noi) è il mio primo obiettivo. Spunta dagli alberi che la circondano, con una bella vasca con gioco di fontane (ce ne sono molte in città). Certo non è l’impatto della cattedrale di Sofia, ma è notevole, la sua mole si fa sentire. Dopo aver visto l’esterno, entro, ma mi aspetta una delusione. Per lavori di restauro è tutta transennata e non si vede niente. Peccato per il soffitto che ha un diametro di 30 metri con un’effige del Cristo. Sconsolato sto per uscire ma la mia attenzione è attirata da un via vai di persone su una scala. Leggo “Cripta” e scendo. Capperi e acciughe, chiamala “Cripta”. Abituato alle nostre, un po’ buie e piccole, qui ci vogliono gli occhiali da sole. Impressionante, diciamo bella con tutto l’oro e il bianco del marmo, luccica tutta, è sfolgorante. Bello anche il lampadario, sorprendente! Nel centro città vi sono importanti palazzi d’epoca e ampi spazi. Lungo il fiume, noto la statua del Vincitore, attraverso il ponte Ada di recente costruzione e lascio la città. Mi dirigo verso il confine Serbia/Bosnia. Tanto per cambiare un ponte fa da limite. Anche qui le pratiche sono veloci. La strada si fa meno monotona, la pianura lascia posto a rilievi e si arriva agli 800 metri di altitudine, almeno un po’ di frescura. Subito noto che ogni paese ha una moschea, poche le chiese con la croce. Questo è un territorio prevalentemente musulmano! Arrivo a Sarajevo dopo un rilievo e mi rendo conto che è in una vallata, con estensioni sulle pendici accanto. Dopo aver camminato un po’ lungo il fiume, mi immergo nelle strade pedonali del centro città. Subito ci si rende conto dell’islamizzazione di Sarajevo. Mi sembra di essere immersi in un mondo arabo. Sì, ci sono i turisti, ma gli abitanti ti colpiscono, specie le donne, con il chador o il niqab, mi è mancato di vedere solo il burka. Rimango esterrefatto, dalle anziane alle giovani, tutte sono così. Sorrido quando vedo alcune con il niqab, che lascia scoperto solo gli occhi, perché chi porta gli occhiali è in difficoltà in quanto non stanno aderenti all’orecchio. Vorrei fotografarle ma forse è meglio di no. Provo a rubare qualche scatto, ma non rende l’idea. Qui dopo le ultime guerre e gli eccidi, l’Islam fa da padrona. Ammetto che non mi sento molto a mio agio.
Il giorno dopo, mentre percorro la strada che lascia alle spalle Sarajevo, noto ogni tanto lungo la strada cimiteri con piccolissime lapidi bianche e non siamo vicini o in prossimità di paesi. Ho il presentimento che possano ricordare le fosse comuni del recente conflitto, La strada costeggia un lungo lago artificiale, piacevole con scenari da alta montagna per i suoi riflessi. A Mostar, trovo una folla di turisti. Mi incammino verso il ponte fra due ali di banchi di souvenir e negozi. Arrivo e mi soffermo in silenzio a osservarlo. Penso a quando fu distrutto e alla risonanza mondiale che ebbe, come il conflitto. Ma ben pochi fecero qualcosa. Parliamo sempre di Hitler, dei suoi campi di concentramento, ma di tutte queste fosse comuni? Dove non ci sono interessi (leggi petrolio) a nessuno importa, manco al Vaticano! Riparto verso il mare per la frontiera Bosnia/Croazia. Bella fila, ma la sgamo e trovo una ragazza slovena con un’Harley che sta ritornando a casa. Brava! In Bosnia i documenti sono ok, la dogana croata è chiusa, quindi si procede senza controlli. Arrivo a Ploce sulla costa adriatica. E da qui inizia un mare fantastico, di un blu assordante con limpidezze estreme. L’avevo già fatto 34 anni fa (a quei tempi si chiamava Jugoslavia) ma non me lo ricordavo così bello tra saliscendi che ti fanno godere le calette e l’immensità del mare. Verso le 12, per il gran caldo, cerco un po’ di ombra. La trovo e a due metri la gente è in acqua. Da prendere una rincorsa con moto e tutto e tuffarsi dentro. Anche perché la Rossa ha un caldo che sul boxer si potrebbe cuocere una fiorentina! Mentre sono lì arriva un altro biker, Pippo di Losanna, anche lui allo stremo. Guida un’Harley 1460. Si mangia e si chiacchiera di moto e viaggi. Ci lasciamo con i nostri reciprochi estremi per ritrovarsi. Chissà! Arrivo a Podstrana.
Il giorno dopo, per il gran caldo, decido di fare tutta una tirata e tornare a casa. A Spalato prendo l’autostrada fino a Fiume e attraverso la frontiera con la Slovenia, poi Trieste e via, direzione casa. Dopo una tirata di 990 km, alle 19.45 arrivo a casa, giusto in tempo per la cena. La mia Cristina sorpresa non mi aspettava! Grande festa.

Bel viaggio, in tutto sono stati 25 giorni per un totale di 8.018 km percorsi, con una media giornaliera di circa 330 km. Nemmeno tanto faticoso, sono stato soltanto un po’ in crisi per il gran caldo affrontato nella seconda parte del tour. I costi degli alberghi sono stati variegati con una spesa che varia dai 15 ai 60 euro. Il costo della benzina è stato al di sotto del budget, poiché fra Romania, Bulgaria, Turchia, Serbia ho trovato un prezzo inferiore anche a 1 euro al litro. La mia Rossa, come al solito, si è comportata benissimo e ha accusato soltanto un consumo di 9 etti di olio. Le gomme Tourance della Metzeler come sempre sono state fantastiche, per tenuta e consumi. Nessun problema burocratico e di salute. Anche il rapporto con la popolazione locale è stato buono, e con il giusto comportamento nessun problema. Che dire, una solitaria fantastica che mi ha permesso di arricchire ancora di più la conoscenza del mondo intorno a me, mi ritengo molto fortunato di poter godere di tutto questo. Una vacanza da consigliare a tutti.
Mi auguro sia stato piacevole leggere queste righe e che vi abbiamo trasportato sulle strade percorse da me e dalla mia Rossa. LAMPS
Fine

Testo e foto: Alberto Marconcini

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