La preparazione di una “Six Days”, seppur una Enduro Vintage Trophy della durata di “soli” 3 giorni, è sempre un impegno importante. Moto storiche da far funzionare come se fossero nuove e macchina organizzativa immensa che possa soddisfare tutte le richieste.
I piloti internazionali hanno anche l’impegno del trasporto del mezzo da un lato all’altro del mondo (non sto esagerando). L’impegno si moltiplica se alla tua moto mancano dei pezzi.
La ricerca, la ricostruzione fedele all’originale e la passione sono il vero motore di queste manifestazioni rievocative.
Sono Donato Benetti, presidente del motoclub più antico d’Italia, e ho l’onore di raccontarvi questa passione.
Immaginate ora di assistere da due anni alla costruzione di una moto del 1968. Qualcuno che realizza la sua moto da gara, partendo dalla passione senza avere nemmeno il telaio. Partendo dalla ricerca dei progetti, alla costruzione di pezzi introvabili, all’assemblaggio e smontaggio non appena qualcosa non funziona perfettamente.
Tutto questo per un sogno: il sogno di Bruno Birbes.
Stiamo parlando di un pilota di 72 anni, al secolo Bruno Birbes “The Legend”, dakariano DOC e Direttore Sportivo del Motoclub U.S. Leonessa d’Italia 1903. Bruno ha deciso di “chiudere la sua carriera agonistica” (chissà se sarà vero?) con la stessa moto con cui iniziò a gareggiare esattamente 53 anni fa. Era la Sei Giorni di San Pellegrino del 1968, e lui vinse la medaglia di bronzo con quella moto, esattamente quella moto.
L’oggetto misterioso è una Muller Zundapp 50 cc. “Motorino” che eroga ben 7 cv., buona parte dei quali vanificati dalla stazza di Bruno (oltre 85 kg.)… ora capite dove sta l’impresa?
Dopo due anni di incessante lavoro, innumerevoli test e regolazioni, il motorino è pronto per la spedizione dell’Isola d’Elba.
La Sei Giorni è una gara a squadre
“Trofeo” per i piloti della nazionale (tre piloti convocati dalla Federazione Nazionale con età minima di 50 anni), e “Silver Vase” per i club (tre piloti con età minima 35 anni). Oltre, naturalmente, ai piloti individuali.
Quest’anno all’Elba ci saranno al via 400 partecipanti con altrettante moto storiche. Otto squadre nazionali per il vaso e ottantanove squadre private per il Silver Vase, e 109 piloti individuali.
La U.S, Leonessa d’Italia 1903 schiera, oltre a Bruno, anche due piloti dal curriculum importante: Andrea Rastrelli su Puch Frigerio 175cc e Ivan Saravesi su Hodaka 250cc (moto giapponese costruita negli USA, sconosciuta ai più, e oggetto di scherno da parte nostra per tutta la durata della gara, come potrete leggere in seguito).
Io, essendo il Presidente del Motoclub, mi sono iscritto come pilota “individuale”: non mi sembrava corretto anteporre la mia parteciipazione a quella di un mio socio. Ho preferito lasciare il posto a Ivan Saravesi (classe ’48, mio “idolo” negli anni ’70, pilota bresciano ultra titolato sul quale si potrebbe scrivere un libro), .
La mia iscrizione viene respinta. Dicono per via della lunga lista d’attesa dei piloti individuali. Lista che non tiene conto né del “palmares” del pilota (sono Campione Europeo in carica della classe oltre 500 4T) né della moto (sarebbe stata l’unica BMW presente in gara). Mal digerita la mia esclusione decido di accompagnare ugualmente la mia squadra all’Elba in qualità di Team Manager: non avrei resistito a seguire le loro gesta seduto sul divano.
Il martedì sera siamo al Motoclub, nella nostra sede presso il Museo della Mille Miglia, e ci giungono notizie da Andrea: le operazioni preliminari stanno andando per le lunghe. Si vocifera che le sei ore di coda siano causa di uno “zelante” commissario FIM che controlla omologazioni di caschi e protezioni.
Sembra che il campionissimo Stephan Peterhansel se ne sia andato indispettito, per poi ritornare ore dopo. Cominciamo bene…
Il furgone di Bruno è uno scrigno di sogni e tesori: le due moto da gara, una Yamaha Tricker per gli spostamenti sull’Isola e la mia BMW Evum “Six Days”, che voglio portare al paddock in bella mostra.
Decidiamo di partire il mercoledì mattina all’alba per essere sull’isola prima delle ore 12 dato che le verifiche chiudono alle 16. Andrea Rastrelli è già sul posto da sabato. Lui punta al risultato e vuole visionare le prove speciali con dovizia.
La terra rossa dell’Elba è un percorso molto tecnico e pieno di sassi
Il nostro viaggio inizia tra le risate ed i racconti di Ivan e Bruno
Le quattro ore che ci separano da Piombino volano in un istante. Avevamo prenotato il traghetto alle 11,30 ma quando arriviamo ci fanno salire praticamente al volo: guadagnamo un’ora.
A Portoferraio è tutto un fermento. Il paddock delle squadre straniere è sulla destra del porto, così come il “parco chiuso” dove le moto saranno ricoverate prima delle partenza e a fine di ogni giornata di gara. Il nostro è a 200 metri di distanza, di fronte alla prova di accelerazione che è prevista alla fine di ognuna delle due giornate di gara; il terzo giorno è riservato alla prova di cross.
Montati i gazebo Bruno e Ivan si presentano di corsa alle verifiche che, inaspettatamente, sono velocissime. Nel frattempo consegnamo i canistri della benzina al team della Scuderia Norelli (gemellata con noi) che si occuperà di farli trovare ai controlli orari sul percorso.
L’isola è gremita di piloti e spettatori. Tutti molto tranquilli e socievoli. Un clima surreale per chi è tifoso di calcio. L’enduro ha la straordinaria abilità di unire, è una scuola di vita dove si apprende ad aiutarsi.
Il giovedì mattina siamo tutti pronti per il grande evento
Bruno è emozionatissimo. La sua agitazione è palpabile. Due anni di preparativi potrebbero essere vanificati in un attimo. È comprensibile. Ivan, invece, ha un approccio alla gara più “naif”: chiacchiera con tutti, i saluti e i selfie si sprecano, sembra tranquillo. Noi no. Temiamo che la sua Hodaka lo tradisca subito dopo la partenza. Andrea invece è concentratissimo, un approccio “professionale” alla gara, come suo solito.
Io prendo la mia BMW e vado alla partenza a fare le fotografie. Mi sposterò poi sul cross test per fotografare tutti e li rimarrò per tutta la gara. Sulle prove in linea non ci si può spostare liberamente e diventa più complicato.
Bruno ha il n°32 e arriva tra i primi, lo attendo con apprensione e la tensione scende nel momento in cui lo vedo apparire all’orizzonte. Il Muller sfreccia veloce: il motore gira bene, va che “fischia” (come si dice da noi). Le nostre urla di incitamento si perdono nella nuvola di polvere che coprirà per tutti i due giorni l’area del cross test.
Non piove da molto tempo e la polvere è diventata ormai leggera ed impalpabile: sembra il fesh fesh del deserto. Scatto foto a ripetizione mentre commentiamo ogni moto che passa con Davide Pollini (dakariano compare di avventure di Bruno) e Athos (un amico del Lago di Garda che è venuto appositamente per noi). La tifoseria italiana è numerosa e le bandiere che vedo sono quelle di Francia, Germania, Spagna, Austria, Svizzera, Polonia e Finlandia. Tutto procede bene e la tifoseria è chiassosa ma rispettosa.
Ivan Saravesi, con il n° 105, non arriva. Passa il tempo e… niente. Ero preoccupato per la sua “Hodaka”, quindi penso subito al peggio. Quando ormai ho perso le speranze compare, tra la cortina di polvere, la sagoma di una divisa Brema… è lui.
Ci dirà poi che si era fermato ad aiutare un altro pilota.
Cosa dicevamo della solidarietà che ci accomuna in questo sport?
I tempi calcolati dall’organizzazione permettono anche alle cilindrate più piccole di rispettare gli orari delle prove speciali. Ivan quindi è comunque dentro il tempo massimo. Non resta che attendere Andrea che ha il n°186. Preciso come un orologio svizzero si presenta al via della PS.
Transita disegnando curve fluide e veloci. Mi sembra vada alla grande. Il cronometro mi darà ragione: su 400 partenti sarà 23mo assoluto. Una grande prestazione.
Siamo solo al primo giro. L’attesa si fa pesante, fino a che lo stoico Bruno si presenta in perfetto orario anche al secondo passaggio, e subito dopo anche Ivan. Incredibile!
Dopo aver effettuato anche la prova in linea i piloti giungono all’accelerazione. Siamo lì ad ammirarli. Al traguardo pochi convenevoli: bisogna essere rapidi al controllo orario e al riordino, per entrare nel parco chiuso nei tempi stabiliti.
Il primo giorno è finito, i nostri eroi sono arrivati tutti
Nell’assoluta guida la classifica il nostro Matteo Rubin con un secondo e mezzo su Peterhansel, a seguire uno stuolo di piloti italiani con distacchi più o meno grandi.
Dopo un meritato aperitivo, ancora sporchi di polvere, ci rechiamo nel nostro agriturismo per una ricca doccia. Una lauta cena conclude la serata. Tra i racconti e le risate un boccone mi va di traverso e quasi mi soffoco. Rischio di più a tavola che a correre in moto!
La mattina successiva il cielo è velato
Nubi nere girano intorno all’isola. Ivan dice che pioverà perché le formiche sono agitate. Bruno lo prende in giro per questa sua diceria da agricoltore. Nonostante la tensione esplodono le risate.
Arrivati al paddock, Ivan mi dice che Bruno ha sofferto tutta notte di forti dolori dovuti ai granchi alle gambe: altre irrefrenabili risate. Una buona dose di magnesio e potassio risolvono il problema di Bruno.
Ivan invece è stravolto. Il suo “allenamento” nell’ultimo decennio è stato a base di vino rosso e cibi nostrani. Mi confessa che vorrebbe ritirarsi. Lo guardo fisso negli occhi, ricordandogli che lui è il grande “Ivan Saravesi”, colui che corse con la Gilera ufficiale, con la Hercules dotata di motore Wankel (la ”lavatrice” come la chiamavo io), che corse innumerevoli “Sei Giorni”, quelle vere, dall’Isola di Man a Dalton (USA), da Madrid a Zeltweg, dalle “12 Ore della Franciacorta” in coppia con l’indimenticabile Imerio Testori, alle durissime “Valli Bergamasche”.
I suoi occhi si illuminano. Lo scuoto dicendo che, se si ritira, fa uno sgarbo ai suoi compagni di squadra, che poi si pentirà a vita, che quando incontrerà i suoi amici si vergognerà del suo gesto… ci vado pesante. Si rianima, lui è un Campione “dentro”. Parte!
Il percorso è tosto, discese ripide, piene di sassi, mettono a dura prova mezzi e piloti. Entrambi “datati” ma con dentro tanta voglia di correre.Quanta stima per questi piloti dall’età avanzata. Mi rendo conto che per loro è veramente una sfida importante.
Il tempo sembra si sia fermato: moto antiche e piloti che, sebbene non siano più atleti, mantengono ancora la stessa grinta. In questa romantica immagine in bianco e nero stonano alcuni “aggiornamenti tecnici” su alcune moto non proprio dell’epoca.
In questa seconda giornata il duello Peterhansel-Rubin corre sul filo dei centesimi fino a quando al nostro Matteo si spegne la moto nel secondo Cross Test e perde 29 secondi compresa la leadership. L’attesa è alle stelle per la manche di cross del terzo giorno: si prevedono “scintille” tra il “Re del Deserto” Stephan Peterhansel e “Cavallo Pazzo” Matteo Rubin.
Intanto i nostri eroi concludono anche il secondo giorno
Bruno è raggiante, Ivan mi ringrazia delle mie parole del mattino e dice che è meno stanco di quando è partito. La sua “Hodaka” funziona ancora: siamo tutti allibiti, non ci avremmo scommesso un euro, la chiamavamo Ocada (stupidaggine).
Andrea Rastrelli è concentratissimo: lui corre per vincere. Purtroppo la sua categoria è quella dei grandi campioni e, nonostante in speciale fosse secondo, conclude “solo” quinto perchè gli si è spenta la moto (errore comune con questi mezzi datati). Mantiene comunque la 23ma posizione assoluta. Direi che può esserne fiero.
Dopo aver messo le moto in parco chiuso ci avviamo alla nostra “oasi” immersa nel verde, stanchi ma felici ceniamo tutti insieme ascoltando le storie dei nostri piloti. Come sempre Ivan e Bruno tengono banco. Come si fa a mangiare piegati in due dal ridere?
Il sabato è prevista la manche di cross su un fettucciato preparato appositamente, bello e largo. Una immensa folla di spettatori con bandiere delle varie nazionalità colora la piccola valle. Partono una ventina di piloti per batteria, in base al tipo di moto e alla classifica.
Il grande lavoro dell’organizzazione e la consulenza del Track Inspector Stefano Passeri fanno trovare ai piloti un terreno ideale, bagnato al punto giusto, che permette una guida sicura e, finalmente, senza polvere. Il Direttore di Gara Paolo “Bubu” Buratti è in pole position ai cancelletti di partenza, per verificare la funzionalità di ogni particolare.
Bruno con il suo “motorino” è nelle prime batterie, al via scatta bene ma, ben presto, viene passato da quasi tutti. Ci sono “cinquantini” che vanno come 125, il suo è un 50 “vero” e si vede.
Nonostante sia ultimo si impegna e guida con la maestria che gli appartiene.
Forse proprio per questo raccoglie l’ovazione e l’incitamento di tutto il pubblico: una “ola” gigantesca si srotola al suo passaggio. Fatico a trattenere l’emozione confidando nella messa a fuoco automatica della mia reflex dato che la lacrimuccia nei miei occhi mi offusca la visuale. Beh, ho seguito dall’inizio l’avventura di Bruno e vederlo li, adesso, mi riempie il cuore.
Finita la manche tra gli applausi mi viene incontro, piange, ride, non sta più nella pelle. Lo fotografo, lo abbraccio e giro perfino un video in cui dedica la sua impresa ad Eliana (la sua compagna), mi ricorda Sylvester Stallone alias “Rocky Balboa” quando sul ring gridava “Adrianaaaaaaa” e rido. Giro immediatamente il video a Miriam Orlandi che da casa pubblica, in tempo reale, le nostre notizie sulla pagina Instagram del Motoclub.
Le manche si susseguono, anche Ivan Saravesi compie il suo dovere insieme alla “Hodaka” 250 che sembra farci il “dito medio” sbugiardando le nostre perplessità sul suo funzionamento.
Dopo una pausa di mezz’ora tocca ai big, tra cui il nostro Andrea Rastrelli. Scatta bene al cancelletto e fa dei tempi di tutto rispetto, nonostante l’impressione che la sua Puch, completamente originale, sia meno performante di quelle degli avversari. Ci ha messo del suo.
Alla fine l’emozione del pubblico è tutta per la “coppia di testa” Rubin-Peterhansel.
Scattano al via come due indemoniati prendendo la testa della gara, Peterhansel attacca a ogni curva, sembra averne di più. Guida pulito, contrariamente a “Cavallo Pazzo” Rubin che stacca al limite, si intraversa, ma Stephan è sempre li, nonostante Rubin gli chiuda la porta in faccia ad ogni tentativo di infilarsi.
L’impressione è che Peterhansel stia giocando al “gatto col topo” e che non voglia rischiare più di tanto (comprensibile visto il contratto firmato con AUDI, dal 14 volte vincitore della Dakar, per la partecipazione all’edizione 2022), alla fine Rubin ha la meglio ma la vittoria assoluta resta ad appannaggio del transalpino.
Una “nota di merito” vorrei farla alla pilota francese Puy “Lulu’” Ludivine che ha guidato divinamente nella prova di cross, lasciandosi dietro tutti i maschietti e vincendo con largo margine (quasi mezza pista) la sua batteria. Tutti a bocca aperta ad ammirare il suo stile di guida semplicemente fantastico. Per la cronaca, nei quattro giri di pista, ha segnato lo stesso tempo di un certo Campione del Mondo di Enduro che si chiama Fausto Scovolo (ad 1 centesimo di distacco).
Siamo giunti alla fine della nostra avventura, tutti soddisfatti e rilassati, tanto da indurre Ivan Saravesi e l’amico Gianni Lucarotti a concedersi una trippa con fagioli e una bottiglia di rosso come “aperitivo” prima della sontuosa cena, che avevamo organizzato, al nostro agriturismo.
Se ci fosse una gara a chi mangia di più, Lucarotti (anche lui ex dakariano della “combriccola” di Birbes) vincerebbe a mani basse. Dopo l’aperitivo a base di trippa si è divorato: un antipasto, un doppio “bittico” di pasta con il pesce, una mega porzione di baccalà per secondo, ha “rubato” quattro fette di soppressata da un tavolo abbandonato dai commensali, si è fatto portare un assaggio di formaggi e poi “dulcis in fundo” una bella fetta di torta.
Credo che difficilmente dimenticherò la cena di conclusione dell’Elba
La domenica mattina ci avviamo con la soddisfazione nel cuore, e con un velo di tristezza, al traghetto che ci riporta sul Continente. Un viaggio di ritorno che (forse) chiude la carriera agonistica di due splendidi piloti, che tantissimo hanno dato al nostro sport e alla nostra Nazione.
Li guardo mentre sono sul furgone, seduto tra di loro, e non smetto di ridere. Amo il nostro sport: produce matti straordinari, come questi due.
Testo: Donato Benetti
Foto: Doanto Benetti – Andrea Migliorati Photographer