Balkan Tet: I balcani lungo le tracce del trans euro trail

Il viaggio che vogliamo raccontarvi parte incredibilmente più dal computer che dal cuore, inizia nel momento in cui ho scoperto il Trans Euro Trail che non è null’altro che una delle dimostrazioni della potenza di internet nella diffusione delle informazioni.
Il TET è un progetto in cui dei linesman (tracciatori) di tutta Europa condividono GRATUITAMENTE le tracce di percorsi che attraversano la propria nazione e questo permette di attraversare l’Europa in Fuoristrada da Nord a Sud da Est ad Ovest: il risultato sono 51000km (cinquantunomila!!!) di tracce per girare il continente sponsorizzando il viaggio in autonomia, con tenda e fornelletto al seguito!
Con tutta questa abbondanza, scegliere non è stato facile ma la curiosità per i Balcani, per una regione dal passato tormentato, così vicina a noi nello spazio ma lontana negli usi ha orientato la bussola verso Spalato alla scoperta di Bosnia e Montenegro.

Viaggiamo con tre mono di generosa cubatura, forse le tre rappresentati più iconiche delle dual sport degli ultimi 25 anni: un Dominator, un DRZ ed un 690. La tipologia di moto non è casuale, fa già capire che le intenzioni sono quelle di percorrere tanto fuoristrada e prendersela con calma sul poco asfalto che incontreremo con l’andatura scandita del placido incedere pistonante delle moto.
Una volta sbarcati a Spalato traversiamo per la via più breve la Croazia fino e svolgere le pratiche doganali, entriamo i Bosnia ed a Livno lasciamo l’asfalto per inerpicarci sulle montagne Bosniache.
Si monta subito su altopiani affascinanti e brulli, su strade ciottolate che attraversano aree ancora minate, passiamo tra boschi e pratoni fino a scendere nella valle… rimaniamo interdetti nel vedere quanto queste montagne siano spopolate: case abbandonate durante la guerra, terre incolte e neppure un animale al pascolo.
Avvicinandosi all’asfalto troviamo un villaggio disperso e veniamo proiettati in una festa balcanica, adottati dai festeggianti che ci offrono birra e carne arrosto per aprirci lo stomaco, ma quando iniziano a riempirci i bicchieri di Rakja (una grappa balcanica) capiamo che è il caso di ringraziare e ripartire verso Rumbaci dove passiamo la notte sollazzandoci sul lago e regalandoci una straordinaria cena a base di pesce locale “all’esorbitante” cifra di nove euro. Ci sentiamo i più ricchi del locale e forse lo siamo davvero.
Il giorno dopo puntiamo in direzione Sarajevo ma in mezzo abbiamo due passi di montagna da scalare su mulattiere mai scontate; dobbiamo superare due frane prima di sbucare alle spalle di una stazione sciistica per poi trovarci a scendere su delle piste da sci e sulle selle erbose di queste montagne come fosse la cosa più ovvia del mondo; risaliamo verso il cielo con un periodico “tornantare” su delle strade che nulla hanno a che invidiare alle militari del Piemonte.
Lungo le coste erbose ed assolate incontriamo spesso persone che raccolgono bacche ai bordi dei sentieri, sono tutte giunte fin quassù con delle golf anni ottanta spinte dove un qualsiasi italiano medio non porterebbe neppure un 4×4; tra buche, sassi, guadi e salite che sembrano preoccupare quei mezzi molto meno dei 35 anni di età e delle guerre che hanno attraversato insieme ai loro proprietari.
Scendiamo finalmente nella valle di Sarajevo e ci fermiamo a pranzo in un villaggio di legno sorto sulle rive di un lago di montagna. Potremmo essere tranquillamente a Bardonecchia se la metà delle donne non portasse il burqa. È il primo contatto con la parte mussulmana della Bosnia di cui, personalmente, non ero esattamente a conoscenza e scoprirlo così, a 2000 metri, senza preavviso mi fa credere di aver sbagliato un bivio ed essere giunto “per sbaglio” in Iran o giù di lì.
Sarajevo si presenta oggi come una città in larga parte ricostruita, difficilmente passeggiando per il centro potrebbe essere possibile immaginare le atrocità che i palazzi hanno vissuto e subito durante la guerra e l’assedio che negli anni 90 l’ha vista triste protagonista.
È però una città di contraddizioni, una sorta di esperimento sociale che vede la coesistenza di etnie e religioni differenti. Il centro è diviso in due da una linea tracciata a terra che separa la parte austro-ungarica da quella ottomana. Varcare una mattonella vuol dire passare, con le debite proporzioni, da Istambul ed i suoi mercati caotici a Vienna con i suoi palazzi e viali monumentali.
Per strada donne con il volto coperto camminano di fianco a ragazze in leggins ma tutto questo è frutto di una convivenza forzata dai patti di guerra. Religione e conflitti sono argomenti da evitare nelle discussioni con le persone, segno evidente che la convivenza è pacifica ma certe ferite sono ancora aperte.
Nei boschi ancora minati intorno la capitale, incontriamo un gruppo di militari intenti alla bonifica delle aree che al motto “Rakja connecting people” ci offrono con insistenza questa grappa di cui, alle dieci di mattina, loro hanno già provveduto a far sparire due bottiglie.
Rimango stupito di questo approccio al lavoro, certo del fatto che negli anni novanta chi distribuì gli ordigni fosse follemente più lucido di loro. L’idea che le strade che percorrevamo da giorni potessero essere state bonificate in questo modo mi lascia timoroso e mi godo ogni giro di ruota come fosse l’ultimo.
L’ingresso in Montenegro, è spettacolare. Le tracce del TET si fanno più impegnative perché il fondo montenegrino è duro, impervio fatto di un sasso dietro ad un altro, ma gli ambienti intorno a noi sono grandiosi.
Giunti nel parco del Durmitor lo spettacolo è meraviglioso, ci arriviamo, neppure a farlo di proposito, al tramonto in quell’ora in cui il buon Dio prende il pennello e decide di tingere d’oro qualunque cosa, le montagne, i prati, anche l’asfalto sembra prendere un colore vivido.
Sembra di essere in Abruzzo e se ci si pensa siamo molto vicini; l’orografia è simile, solo che il fuoristrada è sterminato, le campagne ed i monti ancor meno urbanizzati il che è tutto dire.
A differenza della Bosnia però queste aree sono abitate, curate, vissute. È normale trovare a 30 o 40 km dalla prima strada asfaltata (non dal primo paese) delle fattorie, avamposti laboriosi di chi porta al pascolo gli animali, taglia il fieno o coltiva questa terra brulla, sassosa che però partorisce gente ospitale.
Questo approccio, questo legame alla terra si vede anche a tavolino; compaiono sui menù pomodori buonissimi, verdura, e formaggio, basi alimentari introvabili in Bosnia.
Dopo averne visitato le sue gole ed aver goduto dell’acqua cristallina che ci scorre, ci fermiamo nel canyon Nevidio per un pranzo tipico; andiamo sficcanasando nei tavolini dei presenti indicando all’oste i cibi che ci sembrano migliori, Zakuska, Masanica, Cicvara ed uno Yogurt che non ho mai mangiato così buono.
Saranno state le allucinazioni da indigestione ma nel pomeriggio salendo sugli altopiani siamo sicuri di essere stati nelle praterie mongole; attraversiamo un parco eolico nuovissimo, la traccia regala un po’ di improvvisazione lasciando in mezzo ai pascoli la ricerca della via al primo del gruppo; passiamo praticamente nel giardino di una fattoria tra il salotto ed il bagno (che spesso è fuori casa) eppure nessuno strepita o urla, la popolazione locale impazzisce al nostro passaggio, ci domanda, ci ospita, troviamo gente sempre disposta a trovare nella propria povertà un caffè una rakja o un succo di frutta da condividere con lo straniero.
Dopo due mila km cosa mi rimane dei posti attraversati? La consapevolezza che la Bosnia è un paese in cerca di una sua identità, un crogiolo di culture e di contrasti, dove per la strada camminano di fianco donne in burqa ed altre in shorts, le moto e le auto anche le più curate e costose non hanno la targa e dove campi ancora minati si alternano a campi da sci, roba che se per caso si dovessero sovrapporre, sciare a bomba sarebbe molto più di un modo di dire…

Del Montenegro invece porto a casa l’ospitalità della gente, l’acqua cristallina del rio Nevidio ed il Durmitor al tramonto, il senso di libertà dato dalle sue montagne ed il piacere di guidare una moto da fuoristrada per decine e decine di km su strade bellissime che tagliano pascoli e praterie a perdita d’occhio. Un paese in crescita in cui le persone sono attaccate alla loro terra ed alle loro tipiche case fatte di tetti aguzzi radenti al suolo.
Il TET poi è stato una scoperta fantastica, i linesman dei balcani hanno fatto un lavoro incredibile tracciando percorsi che lasciano a bocca aperta, ma occhio a percorrerli con moto pesanti e cariche… il fuoristrada è tanto ed il fondo non è sempre semplice e capita di trovarsi a percorrere centinaia di km di sassi.
Come ogni viaggio in in off occorre una buona padronanza del mezzo, un po’ di resistenza e la capacità di saper fronteggiare un qualunque imprevisto meccanico perché si passa in posti davvero fuori dal mondo e cambiare una camera d’aria in un prato, affacciati  centinaia di metri sopra al rio  Nevidio, deve essere un piacere non un problema in modo da tornare a casa e iniziare scalpitanti a preparare la prossima avventura… io ad esempio ho già deciso, il TET della Spagna deve essere davvero niente male!!!

Testo e foto: Dario Lupini

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