Il mio Enduro

Come etichettereste l’enduro? Avete mai pensato a come descrivereste l’enduro dovendolo spiegare a un “non addetto ai lavori”?
L’enduro è Sam Sunderland che corre in carena sul salar d’Uyuni, Paolo Ceci che galleggia a pieno gas sui plateau sabbiosi della Mauritania all’Africa Eco Race, ma è anche Jarvis che in punta di piedi sale in equilibrio precario tra i sassi di una salita impossibile o il nostro Salvini che sfiora gli alberi con i paramani durante una speciale nel bosco!
Certo che l’enduro è tutto questo (e scusate se è poco già così!), ma io ritengo di fare enduro da 15 anni senza aver mai fatto tutte queste cose, perché l’enduro è anche il giro della domenica, ognuno con il suo passo e le sue capacità, un giro che si svolge tra la mulattiera e il tavolino del pranzo con i compagni.
È difficile categorizzare la nostra disciplina… e sfido io! Non ha né piste recintate né recinti anagrafici, ognuno di noi ha quel compagno con i capelli bianchi che va ancora forte, ognuno di noi a una cavalcata ha incontrato il partecipante sui settanta che se ne frega dell’artrosi dei suoi coetanei e la cura con altri tipi di fanghi ultra-terapeutici.
Dietro le competizioni c’è un esercito di persone che se ne fregano del cronometro perché, nell’enduro, ognuno sceglie la propria andatura senza ansia da prestazione: sei allenato? Corri! Non lo sei ma ti ricordi comunque come andar forte? Tiri finché hai le braccia e poi rallenti!
È l’unica disciplina motoristica dove ognuno sceglie il suo passo senza essere costretto ad andare sempre a fuoco per evitare di essere preso in giro se non chiudi quel doppio o se non strusci il gomito in curva.
Pensateci, è la ricetta della longevità ed è quello che ci porta a creare dei gruppi dannatamente eterogenei in cui convivono lo smanettone che salta su ogni radice e quello che semplicemente la domenica fugge dalla moglie e usa la moto come scusa.
Io vivo la mia passione in un gruppo del genere, in cui da anni stanno insieme chi allena il polso da fettucciato e chi quello da fettuccine.

Forse è un gruppo sui generis, non ci siamo mai legati ufficialmente, mai etichettati, non c’è un Moto Club alle spalle, non c’è una tessera o una licenza; l’unica cosa che c’è è un bar di ritrovo la domenica e un messaggio di convocazione puntuale il Venerdì. Per quindici anni un gruppo di più d’una decina di persone, tutte con andature diversissime, si è aspettato ai bivi, si è aiutato in mulattiera e si è ammazzato dalle risate nei boschi del centro Italia, come quella volta che in fondo a una discesa bella lunga e impegnativa ci siamo fermati ad aspettare Luca. Dopo qualche minuto lo vediamo uscire dal bosco con la sua andatura paciosa, inconsapevole di una cartuccia infilata tra il casco e la visiera parasole, chiaramente rimasta incastrata involontariamente in un’innocua scivolata. Al suo arrivo iniziò il dibattito: “Luca tutto OK? Sei caduto vero?” “Chi io? ASSOLUTAMENTE NO!” “E allora occhio che hanno aperto la caccia!” La sua faccia rimase interdetta di fronte alle nostre risate e alla nostra risposta, fino al ristorante quando si tolse il casco e capì, iniziando ad apostrofarci in malo modo e suggerendoci una serie di mete per i nostri viaggi futuri! In questi quindici anni, con il nostro passaggio, abbiamo manutenuto senza neanche accorgercene, una fitta ragnatela di sentieri che collegano paesi, ristoranti e “belvederi”. E solo noi, come enduristi, potevamo farlo; dove le montagne non sono “di marca” come dalle mie parti, dove non si chiamano Col di Tenda o Dolomiti non c’è il C.A.I. che le mantenga, non ci sono cartine e sentieri ufficiali per le strade dei boschi; gli unici utenti e custodi di certe zone spesso siamo solo noi enduristi. Le mulattiere e le piste sono quelle dei nostri nonni, giunte con il passaparola! Farle chiudere vuol dire impoverire il territorio, ed anche gli animali che le percorrevano e non le troveranno più! Questa è un’altra, l’ennesima, sfaccettatura di una disciplina sportiva senza confini e sempre più difficilmente categorizzabile!

Testo e foto: Dario Lupini

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