Nel 2019 KTM ha presentato e rinnovato la sua 690 per l’aggiornamento di un progetto che, come nessuno, affonda le proprie radici nella sabbia africana.
Un travaso di esperienze dal mondo dei rally messo su strada senza tante modifiche, come è evidente confrontando i manuali della versione stradale con quelli delle 690 rally che dominavano le Dakar africane con Despres e Coma.
Infiniti i punti di contatto: architettura del motore, misure vitali di alesaggio, corsa e diametri valvole, le fusioni dei carter e un telaio che apparentemente si differenzia solo per qualche fazzoletto di servizio necessario ad ancorare le sovrastrutture differenti.
Una parentela tradita anche dal serbatoio, in posizione inusuale perché, una volta tolti i due anteriori della moto da rally, per realizzarne uno enduristico e di capienza “normale” sarebbe stato necessario ricollocare il motore e rivedere l’aspirazione; tanto valeva dunque lasciare quello al posteriore, per stupire puntualmente i benzinai che, appena uscita nel 2008, non trovavano mai il tappo.
Era proprio il 2008 quando è stata resa disponibile al pubblico la prima volta, e in dodici anni l’architettura del progetto non è cambiata, lasciando immutata l’identità di quella che è divenuta ormai senza dubbio la dual sport moderna per eccellenza.
Dodici anni, però, non possono passare senza lasciare segno, neppure su un progetto del genere. Anche se oggi la filosofia rimane la stessa delle origini, gli aggiornamenti non sono stati pochi, mirati soprattutto a correggere le imperfezioni di gioventù presenti sui primi modelli.
Il motore
Nome in codice LC4 (Liquid Cooled quattro valvole). È il cuore del progetto: un propulsore che fin dall’esordio mantiene il primato di monocilindrico più
potente al mondo.
Anche lui tradisce le origini legate alle competizioni africane, pur se adattato alla produzione in serie nei materiali e in poco altro. Mantiene un’architettura particolare, come ad esempio un circuito di lubrificazione fuori dagli schemi canonici con addirittura 3 filtri e degli intervalli di manutenzione di dieci mila chilometri (scusate se è poco).
Nel tempo si è rivelato, senza dubbio, l’organo più modificato. Cilindrata cresciuta da 654 a 693cc, passaggio dal singolo al doppio albero a camme, adozione di un contralbero per le vibrazioni e una potenza cresciuta di una quindicina di cavalli rispetto agli esordi fino alla soglia dei 74cv dell’attuale.
Una potenza specifica di circa 105 cv/l che, per un monocilindrico da non tagliandare a ore, sono un valore davvero incredibile.
Ciclistica da gara
Il telaio rimane praticamente immutato fin dagli esordi e segue un’architettura a traliccio perimetrale pressoché unica nel mondo del fuoristrada: una soluzione che garantisce grande rigidezza rispetto a un normale telaio a culla chiusa da enduro.
Questa peculiarità nasce dalle diverse sollecitazioni per cui sono pensate le moto: le piste veloci del nord Africa richiedono al pilota un bel pelo sullo stomaco, ma dal mezzo invece esigono molta precisione.
Da qui l’esigenza di un telaio rigido, soprattutto nella zona del canotto: vero fulcro delle forze che stressano la motocicletta.
A cui, nel modello 2019, si abbinano sospensioni WP con 250mm di corsa sia al posteriore che all’anteriore, con una forcella Xplor da 48mm e un mono montato su leveraggio progressivo. Una vera rarità per una KTM da enduro ma anche qui la soluzione è mutuata dalla 690 rally.
Come va
Va come una moto da 149kg e 74cv: eccezionalmente bene.
Il nuovo 690 mantiene l’identità di quello presentato nel 2008, ma gli aggiornamenti ricevuti in dodici anni ne hanno decretato un grande salto in avanti!
Chi scrive ha un 690 prima serie e, a fine test, avrebbe voluto letteralmente trapiantare sulla sua K il motore di quella in prova: impossibile trovare un difetto.
La potenza è disarmante, alla manopola del gas sembra sia collegata una corda che alza l’anteriore al punto che, complici anche il passo corto e il peso ridotto, non c’è verso di tenere la ruota a terra.
Si snocciolano le prime tre marce con la ruota in aria e quando con la quarta si inizia a scendere si è già ampiamente sopra i 100 orari. Tutto ciò potrebbe sembrare ai neofiti un rodeo folle e pericoloso, viene tuttavia smorzato in un click, inserendo la mappa motore soft o, addirittura, il controllo di trazione e l’ABS.
La moto si placa, diventa facile, perfetta per chi vuole iniziare con una duoruote leggera e semplice; molto meno però per chi in off sa guidare e quei 74 cv se li vuole godere uno a uno.
Tanta potenza, tuttavia, fa il pari con una trattabilità del motore ai bassi regimi eccezionale: nulla a che vedere con i motori ruvidi e pistonanti delle prime serie; qui è tutto smooth!
Con la marcia lunga potrebbe sembrare uno scooterone per quanto è dolce e con il contralbero le vibrazioni sono veramente ridotte al minimo.
Le nuove sospensioni lavorano davvero molto bene e risolvono un altro aspetto critico dei vecchi modelli.
Ora copiano egregiamente le asperità; chiaramente il 690 non è una moto da enduro estremo dovendo essere guidabile anche su strada e non c’è nulla da dire: questa taratura lo permette alla grande garantendo divertimento anche tra i tornanti.
Sono sospensioni di compromesso, ma il compromesso non si sente, e questo è davvero il miglior complimento si possa fare ai tecnici austriaci.
Guidandola se ne apprezza la grande stabilità; ricordate i discorsi fatti sopra riguardo il telaio a traliccio e le piste nord africane? Ecco il KTM 690 enduro R va guidato in piedi sulle pedane con l’anteriore che, come si dice in gergo, “scava il solco” solido e ben piantato anche nei curvoni più veloci.
Il rovescio della medaglia di questa grande ed estrema stabilità la si paga nello stretto, il raggio di sterzo e l’agilità rispetto alle prime versioni sono aumentate molto, ma inutile sperare di girare come con un enduro racing: non è una moto per i tornanti, non è nata per questo scopo.
Difetti?
Il prezzo, forse, ma d’altro canto come lei c’è solo lei (e la cugina 701), le altre case hanno lasciato terreno libero agli uomini orange.
La rapportatura poi è un po’ troppo lunga, se passate tanto tempo in fuoristrada potrebbe essere comodo togliere un dente al pignone o aggiungerne un paio alla corona per non viaggiare sempre in prima o seconda; oltre tutto con il motore che ha non avvertireste problemi neppure su asfalto.
Il vero difetto però, dalla soluzione davvero misteriosa dopo dodici anni, è la totale assenza nel catalogo Power Parts di un kit per avere una vera protezione aerodinamica.
Un optional più che dovuto a una moto in grado di viaggiare come nessun’altra tanto in autostrada (grazie anche alla nuova sella più comoda) quanto in mulattiera e perfetta per essere caricata con tenda e bagagli per partire chissà dove… ma con il passaporto in tasca: non si sa mai, il mondo potrebbe diventare incredibilmente piccolo!
Cilindrata/Alesaggio/Corsa | Monocilindrico 693cc/105mm/80mm |
Rapporto di compressione | 12,7:1 |
Distribuzione | 4 valvole, bialbero |
Alimentazione | EFI Kehin 50mm |
Lubrificazione | In pressione con due pompe olio |
Raffreddamento | A liquido con ventola |
Cambio | 6 marce con frizione idraulica antisaltellamento |
Telaio | Traliccio perimetrale in acciaio Cr-Mo |
Serbatoio | Posteriore plastico autoportante |
Sospensioni tipo/corsa | WP USD XPLOR 48mm/250mmWP XPLOR con leveraggio/250mm |
Freni ant/post | Disco 300mm/Disco 240mm |
Inclinazione canotto | 62,3° |
Interasse | 1504 mm |
Altezza sella | 910 mm |
Peso | 149 kg |
Testo: Dario Lupini
Foto: Andrea Migliorati
Video: Dario Lupini