Il settimo giorno di questo viaggio in OFF nei Balcani ci svegliamo al confine con il Montenegro (leggete il racconto della Bosnia e quello della Croazia che c’ha portato fin qui).
La frontiera bosniaca di Foca è la cosa più essenziale che abbia mai visto: un container 2×4 e basta, nessuna tettoia, nessun cartello… pragmatismo sovietico o povertà? Chissà…
Dopo il check del passaporto passiamo il ponte in legno sul fiume Tara e ci troviamo alla frontiera extra lusso montenegrina: una grande pensilina per proteggersi dal sole, tre edifici, insomma sembra d’essere in Europa.
Nuovo controllo dei documenti e via: risalendo il solito Tara arriviamo al primo tratto di fuoristrada montenegrino, e con grande sorpresa, scopriamo che è pieno di case, casine e fattorie.
Montenegro. Gente ospitale legata alla sua terra
Dico “con sorpresa” perché in Bosnia una cosa del genere non esiste: montagne e campagne sono pressoché deserte. Un abbandono delle zone rurali che immagino sia frutto del conflitto degli anni ’90 ed eredità di territori rimasti minati per lunghissimo tempo.
Il Montenegro, invece, è probabilmente il paese della ex-Jugoslavia che meno ha sentito la guerra di divisione; la cosa traspare dal legame che hanno con il territorio, dall’ospitalità e dai rapporti umani molto più aperti rispetto ai territori bosniaci.
Ripercorriamo tratti di fuoristrada che già avevo solcato nel 2019, ma troppo belli per non essere ripetuti!
In fuoristrada arriviamo nel parco del Durmitor ed è qui che il Montenegro esplode nella sua bellezza. Richiama molto l’Abruzzo, ma potenziato, anabolizzato da una natura ancora più aspra, pura e selvaggia. Le montagne sembrano libri dalle pagine ripiegate, con le faglie geologiche esposte e arrotolate come fogli di un quaderno.
Lasciamo questo tratto di asfalto che non fa rimpiangere il fuoristrada per lanciarci in un percorso OFFroad spettacolare
Intorno a noi c’è solo bianco e verde, sassi calcarei e chiazze d’erba. In mezzo a questo territorio, più o meno nel nulla, troviamo due case in legno di un’essenzialità pazzesca, sull’usci
una nonna vestita di nero ci saluta, regalandoci un sorriso che, in questo contesto, appare più bello di quello di tante ventenni.
Eccolo il Montenegro, ecco in cosa differisce dalla Bosnia: ovunque piccoli avamposti di gente che cura la terra che le ha dato i natali.
Proseguiamo in questo contesto fino a Savnick, dove ci fermiamo per un pranzo in cui ancora una volta “lottiamo” per ordinare il cibo. La lotta non è certo con il ristoratore super cortese, ma con la lingua.
Viaggiare nei Balcani vuol dire anche questo: vuol dire prendere l’inglese e dimenticarselo perché qui la cultura omologante europea non è arrivata, e
quando per ordinare il pranzo sei costretto a usare solo i gesti e la fantasia vuol dire che non sei più un turista… sei finalmente un viaggiatore.
Mai sottovalutare la “sfiga”
Dopo pranzo noto che la moto perde acqua; la cosa sembra gestibile, ma con David decidiamo di bypssare il fuoristrada del pomeriggio.
È un tratto che conosco bene, indelebilmente stampato nella mente metro per metro dopo esserci passato nel 2019. Le valli che portano al Kapenovo jazero sono spaziali: 70km di fuoristrada continuo da togliere il fiato.
Nostro malgrado tagliamo questo tragitto e ci dirigiamo su asfalto verso Kolasin per capire bene quale sia il guasto e la sua entità.
Cogliamo l’occasione per avere mezzo pomeriggio “libero”, fare un po’ di manutenzione alle moto e una bella doccia, che non fa certo male.
Neverending trip
I latini recitavano: “dulcis in fundo” ma anche “venenum in cauda”, ossia che la miglior parte è alla fine ma anche che nella coda c’è il veleno.
Questo per dire che a Roma se la girano a seconda della situazione da un sacco di tempo!
Il passaggio conclusivo del Montenegro, però, effettivamente si accosta a entrambi gli enunciati e non saprei davvero quale scegliere, vuoi vedere che i latini erano saggi davvero? Bah.
L’ultimo giorno si rivela davvero una scoperta, l’ennesima perla di questo viaggio.
Come se davvero il “dulcis” fosse davvero in fondo, ma una serie di insidie e difficoltà c’hanno davvero fatto anche trovare il veleno nella coda del viaggio.
Partiamo da Kolasin per 80km di fuoristrada: cominciamo con una salita che sembra non debba finire mai, facile, nel bosco, con i suoi tornanti sinuosi. Ne usciamo in cima alle montagne dove ritroviamo l’ennesimo avamposto nel nulla. Iniziamo a scendere e salire per le gole scavate dai fiumi fino ad arrivare nella valle dell’Eden.
Il sole rende l’erba scintillante, siamo in un teatro di montagne rocciose lucenti e, lungo questa valle, c’è un villaggio (di nuovo completamente nel nulla) che potrebbe essere senza problemi in Mongolia.
La traccia punta dritta davanti a noi, ma avanti a noi c’è solo un muro alto un migliaio di metri con in cima un passaggio tra due montagne.
Una forcella che ci dice
Ehi voi laggiù… da qui dovete passare.
Iniziamo a inerpicarci su questa salita fatta di tornanti, sassi e pendenze davvero elevate.
Ogni curva è un gioco di equilibrio che si rinnova in un contesto surreale. Mentre salgo per questa “strada” mi chiedo come diavolo possano fare gli abitanti del villaggio, è evidente che vivano davvero in modo diverso da noi, in un modo che facciamo fatica anche solo a immaginare.
In cima a quella forcola a oltre 2000 metri la vista è sconcertante: vediamo esattamente la strada che ci ha condotti fin lì perdersi nella valle da cui proveniamo e con fatica riusciamo a riconoscere le case del villaggio più in basso.
Dall’altra parte della forcella un altopiano fatto quasi esclusivamente di sassi: aspro, bello e struggente come questo viaggio.
Scendiamo verso Podgorica, una capitale in cui ci attraversa un cavallo con dietro attaccato un carro per il conducente fatto con il posteriore di una Fiat Uno. La cosa ci disegna un sorriso sul volto e ci fa sentire un po’ a casa (per la Fiat) un po’ dall’altro capo del mondo (per il contesto kafkiano).
Da Podgorica scendiamo alle gole di Kotor, la strada più pericolosa che abbiamo percorso in questi giorni nonostante sia asfaltata
Per spiegarvi il contesto immaginatevi un muro verticale sul fiordo più famoso e in voga del Balcani.
Su questo muro è appesa una serpentina che a confronto lo Stelvio è un lungo rettilineo, e la larghezza della strada è quella necessaria per ospitare una macchina e mezza. La via, però, è a doppio senso con un traffico boia di auto, bus turistici e camion e a valle abbiamo il vuoto, protetti da un muro che arriva sì e no alle pedane.
Usciamo vivi da questo percorso tanto incantevole quanto inquietante e scendiamo al mare per la notte.
La giornata è stata infinita, bella oltre misura ed è stato il giusto coronamento di un viaggio che in Montenegro ha trovato davvero i paesaggi più affascinanti.
D’ora in avanti ci separa da Spalato solo un nastro d’asfalto superbo con le curve della Croazia a farci divertire.
Per qualcuno quei 200km di curve sul mare con un manto perfetto sono la meta del viaggio, invece per noi sono solo l’ultima cullata di un viaggio in un altro mondo distante una sola notte di mare dall’Italia.
Questa sera basterà chiudere gli occhi e riaprirli per essere a casa.
I viaggi di BigBikeOFF
Questo viaggio, insieme a quello del 2019, è alla base del giro che BigBikeOFF organizzerà nei Balcani nel 2023.
Se siete interessati e volete partecipare, basta contattare l’organizzazione su Facebook, Instagram o via mail all’indirizzo bigbikeoff@gmail.com.
BigBikeOFF nasce da una costola del Motoclub Pepe Bevagna (organizzatore del Queen Trophy che ogni anno vi raccontiamo) e, oltre ai tour nei Balcani, ne organizza anche di due o più giorni in tutto il centro Italia.
Seguiteli sui social per rimanere aggiornati sulle loro proposte!
Testo e foto: Dario Lupini
Abbigliamento: Clover Dakar 2-WP
Stivali: Alpinestars Toucan Gore-Tex
Borse: Enduristan
Pneumatici: Metzeler Karoo 4 e Karoo Extreme