Nelle difficoltà emergono i migliori
mi dicevano da bambino e, in questo 2020, con tutti gli sgambetti della sorte, questo proverbio si è manifestato in tutta la sua efficace verità e il Queen ne ha fatto un paradigma.
In pieno lockdown Cesare Pompei (l’organizzatore n.d.r.) e la sua banda sono stati tra coloro che, piuttosto che giocare in difesa, al tavolo della sorte hanno rilanciato e quando da quel mazzo, che da mesi regalava solo due di picche, è uscita una regina è stato chiaro che la fortuna aveva girato.
Una scommessa quella del rinvio a settembre giocata credendo nella rinascita e vinta non per caso, ma con un’organizzazione maniacale fatta di orari e distanziamenti per gestire la problematica Covid in maniera esemplare, riuscendo a garantire il distanziamento senza far trasparire un clima da polizia sanitaria.
L’esempio di tutto è stata la partenza! Sulla splendida piazza medievale di Bevagna erano stati apposti, per terra, dei bollini recanti il numero di ogni partecipante. La piazza era gremita di moto e di biker tutti distaccati: una cornice splendida da cui traspariva ordine e non costrizione.
Dato fuoco alle polveri, avanti a noi si presentavano tre percorsi di difficoltà crescente, creati per accogliere chi è alle prime armi o per gratificare chi ha una forte esperienza e cerca una giornata di fuoristrada pressoché totale.
Un lavoro incredibile premiato da tutti. Abbiamo visto sorrisi incontenibili sia sul volto dei fuoristradisti più navigati come su quello di chi era alla prima esperienza in off.
“M” come meraviglia
È proprio con i percorsi e i paesaggi che il Queen Trophy ubriaca lo sguardo: quest’anno è stato un continuo salire e scendere per la dorsale appenninica a cavallo tra Umbria e Marche, cercando i gioielli nascosti di questa parte d’Italia così incredibilmente affascinante.
Il sabato, una volta superata Rasiglia dove abbiamo goduto di una succulenta colazione, il percorso si è snodato verso Colfiorito, monte Alago e tante piccole cime e altopiani fino a prendere una strada in salita senza fine che d’un tratto ha cominciato ad allargare i suoi tornati per uscire dal bosco regalando una delle perle di quest’anno. Eravamo ai piedi del Vermenone: una piramide che svetta e che mi ha ricordato l’incredibile Kirkjufell d’Islanda.
Foto di rito e poi giù, a capofitto in una bellissima faggeta fino alla Valsorda con un traverso appoggiato in quota e montagne a perdita d’occhio tutte avanti a noi.
Non siamo neppure al ristoro eppure siamo già sazi di bellezza! Proseguiamo tra pale eoliche e borghi nascosti fino a quando, superato il minuscolo borgo di Rucce, arriviamo a un altopiano
fuori da ogni senso del logico.
È tutto troppo bello per essere vero: il sole inizia a essere basso, le ombre lunghe sotto i piedi di mucche e cavalli bradi al pascolo che non si curano minimamente della nostra presenza, Il monte Catria in lontananza ci regala il suo profilo e la sua ombra… ma dove diavolo siamo?
Usciamo da questo quadro dipinto e proseguiamo veloci, quasi anestetizzati da tanto fascino fermandoci solo a Serra Sant’Abbondio dove la cordialità della Pro Loco ci offre un aperitivo super graditissimo dopo 250 km di fuoristrada, sebbene manchi solo un pugno di chilometri per l’arrivo a Frontone.
“A” come alba
Vi ricordate cosa avevo scritto all’inizio?
Ogni favola inizia all’alba, all’ombra di un castello
e non è stato scritto a caso.
Domenica mattina la sveglia ha suonato ben prima dell’alba. L’appuntamento era previsto sotto il Castello di Frontone illuminato dalle stelle e da una timida falce di luna; l’obiettivo era guadagnarsi la colazione in cima al Monte Catria mentre il sole si levava dal mare ai nostri piedi.
Quella sveglia cinica e fastidiosa che ha fatto guadagnare l’inferno a tanti, ci ha portato tutti in paradiso un’ora dopo.
Partire di notte, all’ombra di un castello, guidare mentre albeggiava fino alla cima di un monte e gustarsi un caffè mentre il sole ci regalava le prime luci del giorno, sarebbe valso da solo tutto l’evento. Non c’è nulla di estremo, solo tanta bellezza, stupore e poesia in questa idea.
Dopo la colazione ci siamo rimessi alla guida; erano appena le 8 della mattina quando siamo giunti in cima al monte Petrano: era ormai giorno, ma la luce, ancora bassa, tingeva i paesaggi di una luce dorata e ipnotica.
Abbiamo raggiunto l’agognata Gubbio alternando sterrati tecnici a larghi stradoni di ghiaia rossa e bianca, sostando nella città dei ceri per l’ennesima graditissima merenda, che ci è apparso quasi un pranzo vista l’alzataccia eppure erano appena le 10 di mattina.
Mentre ci ristoriamo, Cesare ci ha raccontato che, se l’evento si fosse tenuto a maggio come previsto, avremmo assistito alla cerimonia dei Ceri
una cosa da perdere la testa.
Uno spaccato di tradizione umbra inimmaginabile, dove il fervore delle persone si miscela alla competizione e alla religione, questa forse è la sola perdita del Queen nei confronti del Covid.
Dopo Gubbio la traccia si è fatta più scorrevole ma una giornata del genere non poteva che chiudersi con il botto!
Passata Assisi siamo risaliti lungo la panoramica del monte Subasio: nulla di difficile e già percorsa in altre occasioni, eppure sempre bellissima a dominare la valle del Tevere e con Bevagna lì in fondo, ai nostri piedi.
L’organizzazione aveva previsto l’arrivo già per pranzo – come confermato dai primi partecipanti giunti già intorno alle 13:00 – per permettere a tutti un rientro verso casa con agio. Tutto secondo i piani, come in un domino perfettamente assemblato il cui primo tassello era caduto alle 6 di mattina, 220 chilometri prima.
Seguiamo il Queen dalla sua prima edizione, constatando come di edizione in edizione, i ragazzi del Mc Pepe Bevagna abbiano saputo rilanciare, migliorando un evento apparentemente sempre già perfetto.
Il prossimo anno sarà difficile alzare ancora l’asticella: sarebbe dura già solo mantenere questo livello di emozioni, di cibo, di percorsi e di paesaggi eppure ormai, non so come, so già che rimarrò stupito ancora.
Fremo solo all’idea di sapere dove sarà la prossima alba!